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FACOLTÀ DI ARCHEOLOGIA BIBLICA
di Massimiliano Lanza
 
Il testo di una canzone sulle differenze "costruttive"
per la pace
Io ti do i nostri dubbi e la nostra indicibile speranza,
le domande che le strade hanno lasciato nella storia
le nostre figlie sono brune e si parla un po' forte
e l'umore e l'amore sono i nostri tesori
io ti dò ti dò ti dò quello che io sono
io ti dò, io ti dò
tutto quello che valgo, quello che io sono
i miei doni, i miei difetti
le mie più belle fortune: le mie differenze


Profilo di San Paolo

S. Paolo era un fariseo, un ebreo osservante; era ebreo per caratteristiche somatiche, ovvero basso, tarchiato.. era di natura un viaggiatore. Era una persona forte e nerboruta, probabilmente aveva capelli corti e bruni; persona di carattere difficile e iracondo. Egli era un intellettuale, istruito da Gamaliele, ritenuto persino filosofo da alcuni; era cittadino romano perché era nato ad Antiochia di Pisidia, sotto il controllo di Roma.. suo successore fu Ignazio di Antiochia che commentò le sue lettere.
Prima della conversione era un uomo ortodosso, legato all'amore per la verità e perciò persecutore dei cristiani; li perseguitò in buona fede definendo Gesù un impostore.

Nel dettaglio:
Lo storico Eusebio di Cesarea sosteneva che la famiglia di Paolo fosse galilea. Di nascita era cittadino romano.
Egli fa parte della diaspora, la nazione fu conquistata dai romani. Studiò da Gamaliele, scriba sapiente all'epoca.
Egli conosce tre lingue:
Ebraico
Aramaico
Greco

E' fariseo, non è profesionamlmente inserito con i sui studi ma svolge un lavoro pratico: fabbricatore di tende. E' un intellettuale con un'attività in proprio.
Saulo per i giudei, Paolo per i Greci, nacque a tarso l'anno 8 d.C. c.a.; uno tra i più esperti su San Paolo è il Prof. Gérard Rossé, che insegna all'Istituto Universitario di Loppiano (FI).

Ma è ancora attuale?
Sicuramente il Nuovo Testamento è attuale.
Quindi? Egli annuncia il Vangelo anche ai pagani. Era un logico e non poteva solo con l'intelletto capire Gesù. Per lui Cristo è un soggetto pericoloso perché sobilla il popolo. Il messaggio di Gesù era universale e quindi faceva paura.. Allora l'unico modo che Gesù aveva per farsi conoscere era con “la forza di Damascoâ€. Egli era un grande teologo e ha saputo cogliere il messaggio del Cristo RISORTO.. fu molto coraggioso ad andare contro la legge ebraica..
Paolo, una volta cristiano, non distrusse la sua tradizione ma la perfezionò
Però capisce che la legge non salva. Solo il Cristo glorificato ci salva e ci perdona. Salva anche i pagani. Non capì subito tale aspetto ma capì che il credo cristiano ( e vale per tutti) è la giustificazione mediante la fede (Romani 1,1ss).
Secondo lui l'alleanza è una relazione sostanziata di amore. La legge di Dio è quindi l'amore per mezzo dello Spirito santo.
La legge è la volontà di Dio riversata nei nostri cuori.
Dio ti dà tutto, perché ti dà se stesso.
San Paolo paragonava la Chiesa a un corpo: anche un piccolo taglietto fa male e tutti gli altri organi soffrono. Dobbiamo agire e star vicini al prossimo e sempre accoglierlo perché Gesù è con noi.
Dobbiamo con-morire con Cristo crocifisso e con-vivere con Gesù Risorto.

TESTIMONIANZA
Ho un amico, si chiama Sergio.
E� un grande, uno di quelli che lascia il segno quando passa.
E� di un paesino vicino a Lucca, un innamorato di Ges�.
Ha insegnato a scuola per tanto tempo, amava i bambini e non capiva
come mai non potesse parlare di Dio a loro o farli pregare a scuola,
perch� lui diceva che senza Dio ogni altra conoscenza serve a poco �
tipo curioso vero?!
Amava talmente Ges� e pregava talmente tanto, che aveva chiesto la
possibilit� al vescovo di tenere in casa il santissimo sacramento (Ges�
presente nell�ostia consacrata) e il vescovo l�aveva lasciato. L�ha
messo in una cappellina che ha nell�uliveto vicino a casa sua, una
cappellina costruita in una roulotte, una cappellina bellissima.

Come mai una cappellina in una roulotte � perch� Sergio ha passato
venticinque anni della sua vita a vivere tra il popolo zingaro, popolo
dalle mille etnie a cui appartiene quella Rom.
Ha iniziato per caso e poi � stato un amore cresciuto sempre di pi�.
Per lui il popolo zingaro � il popolo in cui Dio sta facendo le cose
pi� strabilianti: conversioni, numerosissime vocazioni al sacerdozio e
alla vita religiosa ecc. insomma un popolo che Dio ha scelto, tra i
tanti altri strumenti, per rinnovare quest�Europa.
E Sergio li ha amati, si � speso per loro, per portare a loro Ges� e
per portare loro a Ges� e quando il 4 maggio 1997 Giovani Paolo II ha
beatificato uno di loro, il martire gitano Zeffirino Gim�nez Malla,
detto �El Pel�, lui era al settimo cielo, l�ha visto come un conferma
a continuare.
E ha continuato spendendosi senza sosta, tanto che non si era accorto
che quel dolorino che aveva da anni allo stomaco era un tumore, � morto
e ora continua a spendersi per loro dal cielo.

E noi stupidi vediamo nei ROM solo gente che mina la nostra
sicurezza.
Gi� Hitler per eliminarli aveva cercato di farli fuori mettendoli
insieme agli ebrei e non a caso!
Noi invece siamo gente civile, non ci permetteremmo mai di ammazzare
qualcuno, l�importante � che non vivano di fronte a me, in mezzo a me e
allora li ammazziamo socialmente, dicendo loro che non devono esistere
e che vadano via.
Perch� tanto odio? Perch� noi che viviamo in abitazioni stabili non
sopportiamo di vedere gente che abita in roulotte o simili? Perch� ci
ricordano che su questa terra ogni sicurezza � sempre e solo precaria,
ogni stabilit� � sempre momentanea? Perch� ci ricordano che ogni popolo
non � una monade chiusa, ma un elemento della grande famiglia umana?

Noi cristiani poi! Noi che dovremmo essere popolo in cammino tra i
popoli, che siamo su questa terra, ma non di questa terra, ce la
prendiamo con loro perch� forse ci ricordano cosa dovremmo essere?
Tutta la Bibbia � storia di nomadi: ce lo siamo forse scordati?

Sergio, aiutaci tu a vedere con i tuoi occhi e fa che le nostre paure
possano trasformarsi in voglia di confronto, di incontro e di vedere
quanto di bello Dio sta facendo laddove noi vediamo solo male.


SS. CORPO E SANGUE DI CRISTO � anno A
Leggi Gv 6, 51-58
V. 51 � � la mia carne per la salvezza del mondo� ï³ï¡ï²ï¸ï€ ï­ï¯ïµï€ ï¥ï³ï´ï©ï®ï€ ïµï°ï¥ï²ï€ ï´ï¥ï–ï€ ï´ï¯ïµï€ ï«ï¯ï³ï­ï¯ïµï€ ïºï·ï¨ï–� � questa la novit� del v. 51. � il ricordo della formula eucaristica aramaica, dove � possibile �carne� (ï³ï¡ï²ï¸) � �non corpo� (ï³ï¯ï­ï¡). Quell�usata nella comunit� giovannea; se ne ha una conferma dell�uso di carne in senso sacramentale in Ignazio antiocheno, risuona in questa formula, assieme al tema sacramentale anche quello dell�incarnazione (1,14) e addirittura quel della Passione nella proposizione �per� (ïµï°ï¥ï²), che ha carattere sacrificale ed � molto arcaica. Va notato ancora una volta l�universalismo della salvezza annunciata (�per la visita del mondo�).
V. 52 � Le mormorazioni dei giudei possono ricordare anche le critiche degli stessi giudei e docenti al tempo dell�evangelista. Forse proprio per questo, l�uditorio � costituito di �giudei�, tipici nemici di Ges� e nemici ufficiali della comunit� cristiana della fine del I Sec. d.C.; nella Storia di Ges� la Comunit� leggeva la sua stessa storia. In realt� le due formulazioni �mangiare la carne� e �bere il sangue� suonano ambedue paradossali e assurde, se intese in senso naturale o biblico.
Solo l�interpretazione sacramentale offre un senso plausibile.
V. 53: Suggerisce in forma condizionale negativa l�assoluta necessit� del mangiare la carne e bere il sangue del Figlio dell�Uomo disceso dal cielo.
V. 54: Ripete nel v. 53 in forma esatta con la I persona e l�aggiunta della risurrezione nell�ultimo giorno (escatologia futura). Chi si ciba: ï¯ï€ ï´ï²ï¯ï§ï·ï®ï€ ï­ï¯ïµï€ ï´ï¨ï®ï€ ï³ï¡ï²ï«ï¡ï€ ï€­ï€ ï€ Qui nei vv. seguenti (56,57 e 58) viene usato il verbo ï´ï²ï¯ï§ï·, che non necessariamente significa �masticare� (Cfr. 13,18), ma � piuttosto una forma popolare per indicare semplicemente il cibarsi�. Non si pu� quindi calcolare il realismo eucaristico fondandosi su questo verbo.
V. 55: � l�auto - rivelazione centrale del brano eucaristico 6,51-58 � vero�vera: rappresenta cio� nel modo pi� reale ci� che � il cibo e la bevanda per l�uomo, e alimenta la vita pi� autentica qual � quella escatologica.
V. 56: La mutua immanenza del creatore in Cristo e di Cristo in Lui � l�effetto della manducazione sacramentale. Non si deve quindi pensare all�effetto dell�eucaristia in termini di forza magica, ma nei termini pi� autenticamente personali. Questa formula di mutua immanenza � usata da Giovani:
1) Per indicare l�unit� del figlio nei confronti del Padre (10,38; 14,10-11);
2) La comunione fruttuosa del discepolo con Cristo (15,4-10);
3) E� infine la comunione dei fedeli con il Padre e il Figlio, che produce la forza dell�unione fra loro (17,21-23), la formula di mutua immanenza ha quindi origine nella cristologia per passare poi all�eucaristia.
V. 57: in questo v. � presente il modo con cui arriva la vita a chi mangia la carne di Ges�: il Padre � la sorgente della vita. Il Figlio vive grazie al Padre (fonte originante) e il fedele mediante la manducazione del Figlio, attraverso cui entra in intimo rapporto con lui (Cfr. Il v. 56).
V. 58 � � una conclusione, simile a quella del versetto 49 con ritorno all�inizio di tutto il discorso (v. 31), in forma di inclusione.



Messaggio di Medjugorje
25 Aprile 2008

"Cari figli, anche oggi vi invito tutti a crescere nell�amore di Dio come un fiore che sente i raggi caldi della primavera. Cos� anche voi, figlioli, crescete nell�amore di Dio e portatelo a tutti coloro che sono lontani da Dio. Cercate la volont� di Dio e fate del bene a coloro che Dio ha messo sul vostro cammino e siate luce e gioia. Grazie per aver risposto alla mia chiamata."

Messaggio a Mirjana 2 Aprile 2008

�Cari figli, anche oggi mentre sono con voi nel grande amore di Dio desidero chiedervi: voi siete con me? Il vostro cuore � aperto per me? Permettete che io lo purifichi col mio amore e lo prepari per mio Figlio? Figli miei, siete scelti perch� nel vostro tempo una grande grazia di Dio � scesa sulla terra. Non esitate, accoglietela. Vi ringrazio�.


La Madonna ha benedetto tutti i presenti e tutti gli oggetti sacri. Quando se n�� andata dopo di Lei c�� stata una bellissima e calda luce di colore celeste.
 
Massimiliano Lanza, responsabile del Sito:
e-mail scuolelanza@virgilio.it
oppure dr.lanza@sharkacademy.com
oppure massimiliano_lanza@yahoo.it
Docente di Bioetica presso Università Popolare Biellese (UPB educa)
Curriculum Vitae
Nato a Biella nel 1970, si è diplomato all'Istituto Magistrale Rosa Stampa di Vercelli. Ha poi frequentato l'Istituto di Scienze Religiose Novarese affiliato alla Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale, completando poi gli Studi Teologici presso lo Studentato del Seminario Vescovile di Biella. Ha conseguito l'equipollenza al Diploma in Scienze Religiose. Per un solo anno ha frequentato la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università del Piemonte Orientale.
Nel marzo 2008 ha conseguito il Master in Didattica a distanza e Filosofia medievale sul Web, corso on-line presso la Drengo S.r.L di Roma.
Attualmente è iscritto alla Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Torino, studente e lavoratore nel settore scuola.
E' Assessore alla Cultura, Politiche Giovanili e Volontariato presso il Comune di Borriana (prov. di Biella).

Massimiliano Lanza
Assistente Amministrativo
work
Borriana, Italia
• Informazioni professionali
• Presentazione personale
Informazioni personali
Cerco
Dottori di ricerca in Teologia (Cattolica, Protestante e anche Ortodossa)
Offro
Servizi di Volontariato per un'associazione culturale che si sta costituendo in Provincia di Biella.
Interessi
Disegno ed arti grafiche, Educazione e formazione, Ingegneria e tecnici, Internet, Giornalismo, Servizi Sociali - ONLUS, Tecnologia - Sviluppo siti internet
Associazioni
Società di San Vincenzo de Paoli, Rinnovamento nello Spirito Santo, Ordine Francecano Secolare (tutte con Statuto e ONLUS)
Esperienza professionale
2007 - oggi
Assistente Amministrativo
(Il nome della società è visibile solo per i soci registrati)
Settore: Istruzione, ---
2007 - oggi
Assistente Amministrativo
Istituto Comprensivo di Sandigliano, http://www.icsandigliano.it/
Settore: Istruzione
06/2004 - oggi
(4 anni)
Amministratore
Comune di Borriana, http://www.comune.borriana.bi.it/on-line/Home.html
Settore: Università
________________________________________
11/2008 - 12/2008
(2 mesi)
Corso di Bioetica
Università Popolare Biellese, http://www.upbeduca.it
Settore: Università
2000 - 2007
Assistente Amministrativo
Liceo Scientifico Statale "A. Avogadro" - Biella, http://www.liceoavogadrobiella,it/
Settore: Istruzione
1998 - 1999
Videoterminalista
Provincia di Biella, http://www.provincia.biella.it/on-line/Home.html
Settore: Servizi infrastrutturali
1998 - 1998
Operaio gen. Livello I
OCTIR Industriale S.p.A., http://www.fincarde.com/
Settore: Macchinari
1993 - 1996
Impiegato livello IV
Poste Italiane S.p.A., http://www.poste.it/
Settore: Telecomunicazioni
1988 - 1992
Archivista
Finanziaria Tessile Bertrand S.p.A.
Settore: Vendita al dettaglio
Stato
Impiegato
Studi
Università
Politecnico Statale di Milano, 03/2008 - 03/2008
Ingegneria e Tecnici, Corsi on-line
Iscrizione/Frequenza Corsi On-Line

DRENGO S.r.l., 2008 - 2008
Informatica, Filosofia Medievale, Attestato Master Post-Laurea
Didattica a distanza; Filosofia Medievale sul Web, Corsi vari di Storia medievale

Istituto Superiore di Scienze Religiose, 2004 - 2004
Teologia, Equipollenza al Diploma in Scienze Religiose
Ottenuta l'equipollenza dei primi quattro anni di Scuola Teologica conseguiti presso il Seminario Vescovile di Biella.

Università degli Studi di Torino - sede di Biella, 2004 -
Scienze del Servizio Sociale, Laureando in Servizio Sociale
Sociologia Generale, Scienza Politica, Sociologia economica, della devianza e della Famiglia, Organizzazione dei Servizi Sociali, Metodi e tecniche dei Servizi Sociali I e II, Storia delle Istituzioni Politiche, Economia Politica, Psicologia dello Sviluppo, Principi e fondamenti dei Servizi Sociali,

Università degli Studi del Piemonte Orientale, 2003 - 2004
Filosofia, Attestato di frequenza di 1 anno studi univ.
Storia della Filosofia Antica; Storia della Filosofia Medievale; Logica, Epistemologia, Metafisica, Ermeneutica, Letteratura Italiana A. Sostenuto solamente l'esame di Storia della Filosofia Antica: 18/30.

Seminario Diocesano di Biella, 2000 - 2006
Teologia, Conseguimento Ciclo Istituzionale in Sacra Teologia
Teologia Fondamentale, Teologia Morale fondamentale, Teologia Morale Speciale: Etica delle Virtù, Bioetica, Morale Sessuale e Famigliare; Teologia Dogmatica, Introduzione ed Esegesi della Sacra Bibbia, Patrologia e Patristica, Filosofia Teoretica (tutti i corsi inerenti alla disciplina), Liturgia, S

Istituto Magistrale Rosa Stampa di Vercelli, 1995 - 2000
Pedagogia, Diploma di Maturità Magistrale
Istituto Magistrale ad Indirizzo socio-psico-pedagogico per l'insegnamento nelle Scuole dell'Infanzia e Primaria (in quell'anno scolastico era ancora valido per la docenza in tali scuole) concluso il 12/07/2000. Punteggio: 71/100.

Istituto Superiore di Scienze Religiose S. Gaudenzio, 1994 - 1995
Scienze Religiose, Attestato di Cultura Religiosa
Frequentati i corsi di Teologia Morale Fondamentale e Storia della Chiesa Contemporanea, di cui è stato conseguito anche l'esame finale con punteggio 25 trentesimi.

ISTITUTO LAMARMORA FRATELLI S.C., 1993 - 1995
Lingua e letteratura straniera, Attestato conoscenza Lingua Inglese
1° anno 1993/94 Inglese base Frequenza corso 3° anno Inglese avanzato (effettuato il passaggio dal 2° al 3° anno direttamente). I corsi erano serali, in contemporanea con gli altri pomeridiani o settimanali.

Seminario Vescovile Biella, 1992 - 1996
Scienze di Formazione teologica, Attestato di Frequenza e Profitto Studi teologici base
Studiati gli elementi teologici di base: Teologia Fondamentale, Cristologia, Ecclesiologia, Introduzione alla Bibbia, Introduzione ed esegesi all'Antico e Nuovo Testamento, Teologia Liturgica, Morale fondamentale e Storia della Chiesa,

Istituto Lamarmora Fratelli S.C. di BIELLA, 1990 - 1993
Ragioneria, Diploma di qualifica professionale in Segreteria d'Azienda
Corsi serali di: Dattilografia, Informatica, Diritto Commerciale, Corso sull'I.V.A., Corso sulle Buste Paga, Ragioneria (programma III anno dell'ITC). Conseguito anche "Accertamento della professionalità" in data 02.12.1992 presso CNOFS/FAP Ist. Sacro Cuore, Vercelli

Breve curriculum scolastico, 1976 -
Tutte le discipline, Laurea
1976-1981 Scuola Primaria 1981-1985 Scuola Secondaria I grado 1985-1987 Biennio I.T.I.S. Q. SELLA - BIELLA 1987-88 C.F.P. TEXILIA S.P.A. BIELLA 1990-93 ISTITUTO LAMARMORA FRATELLI S.C.-BIELLA 1992-2006 STUDI TEOLOGICI (1995-2000: ISTITUTO MAGISTRALE R. STAMPA) 2004-ATTUALITA' UNITO
Lingue
Inglese (Buona conoscenza), Italiano (Fluente), Francese (Conoscenza di base)
 
II domenica del Tempo Ordinario, anno A
Leggi GV 1, 29-34

• Agnello di Dio
• Spirito

1,29: ci parla dell’Agnello apostolico, contro il male. Apocalisse 17,14 afferma: “essi combatteranno contro l’Agnello , ma l’Agnello li vincerà, perché è il Signore dei signori e il Re dei re e quelli con lui sono i chiamati, gli eletti e i fedeli”.
Per l’Agnello pasquale leggi Esodo 12, poi leggi Isaia 53, 7-10.
- Il peccato dell’intera umanità: prima di Giovanni Battista (il successore d’Elia) il nostro Evangelista ci parla della Parola che è Gesù, il Logos.
Il Quarto Evangelo non tratta l’infanzia di Gesù nei rapporti con il Battista.

Il battesimo di Giovanni è la penitenza in vista della Rivelazione di Gesù nel Regno di Dio.
Come una colomba: simbolo della nuova creazione e della Comunità di Israele.
A questo punto è indispensabile leggere Genesi 8,8. Anche quando esce dall’Arca, la Colomba (intesa come figura simbolica), ci fa capire che si è giunti alla terra ferma. Il posarsi dell’animale (che non torna più) indica il nuovo legame durevole della Relazione Trinitaria con sé stessa e con i credenti.
Il testo evoca la morte espiatrice di Gesù:
Egli è
- Servo sofferente
- Agnello pasquale
Togliere in greco originale significa sollevare e di qui prendere su di sé, portare via, far sparire i peccati.

Ecco l’Agnello di Dio… IDE O AMNOS TOU TEOU (pr. IDE O AMNOS TU TEÙ) - Identificato con il Servo Sofferente , l’innocente che porta su di sé il peccato… Egli è l’Agnello Pasquale (Amnos). Qui Gesù esce dall’anonimato di Nazareth per essere conosciuto a livello profetico. Gesù è il salvatore escatologico perché su di Lui si posa lo Spirito in modo permanente, com’era stato preannunciato.
Qui vengono distinti invece il Battesimo di Acqua e quello di Spirito. Lo Spirito santo costituisce uno dei temi principali del IV Vangelo.
Il Battista fa una professione di fede messianica.
Analisi spirituale:
Noi abbiamo un salvatore che ci toglie i peccati; qui Giovanni vede Gesù venire verso di Lui perché è ormai pubblico al Popolo.
Giovanni fa un’affermazione di fede dicendo che Gesù Cristo è venuto a togliere i peccati dal mondo. Con il verbo conoscere s’intende una frequentazione. Da bambino si pensa che fosse ospitato dalla comunità degli Esseni per sfuggire alla persecuzione di Erode e stette fino all’inizio del suo eremitaggio nel deserto.
Dopo di me: con il verbo conoscere si ritiene un rapporto di tipo filiale; la loro frequentazione fu comunque minima…
L’acqua, per sua natura, è considerata da tutti fonte della vita; senz’acqua non si può vivere. Ecco perché Gesù e la Chiesa ritengono che il battesimo venga fatto in e con l’acqua, intesa come simbolo di rinascita. Il bambino, se ci pensiamo, sta nove mesi nel liquido amniotico.

Nota al testo:
La colomba qui rappresenta la semplice purezza dai peccati. Quando Gesù dice: “siate semplici come le colombe e furbi come le serpi” intende ricollocare l’amore concreto al Cantico dei Cantici; l’amore concerto si fa persona e l’odio è invece la serpe. In senso positivo, tale serpe rappresenta la scaltrezza.

Giovanni Battista, oltre che essere martire è anche testimone oculare; i due termini coincidono. Non è escluso che sia anche una professione di Fede di fronte agli eretici riguardo al Figlio di Dio.

III domenica T.O.
Leggi Mt 4,12-23
La Chiamata dei dodici
Particolarità geografiche:
la città indicata è Cafarnao sulla riva nord-occidentale del lago di Genesaret, sede per la riscossione delle tasse, segnava il confine tra il territorio dipendente da Erode Antipa e quello dipendente da Erode Filippo, vi risiedeva un presidio romano. Centro di gran parte dell’attività di Gesù: “la sua città”, luogo in cui sono ambientati diversi racconti di miracoli.
Gesù maledisse Cafarnao insieme con Corazin e Betsaida, perché vi era stato respinto. Nell’Evangelo è riportato l’episodio del fico maledetto; il padrone dà comunque possibilità al fattore di mettergli la concimazione in modo tale di poter (eventualmente) produrre frutti l’anno successivo.
Neftali si trova sulla costa orientale delle montagne di Gliela e confinava con le tribù di Issacar.
Zabulon aveva il proprio territorio vicino a Nazareth, tra il lago di Genesaret ed il Mediterraneo, come viene indicato nella profezia di Isaia. La nostra Galilea delle genti è la Transgiordania, luogo dove probabilmente Giovanni battezzava; essa era considerata zona dei gentili e aveva bisogno della luce che era Gesù, profezia che si accorda sulla sua residenza a Cafarnao. Per capire la zona di realizzazione di questa profezia, bisogna considerare che la Galilea delle genti viene collocata nel territorio di Zabulon e Neftali, mentre egli si trova nel territorio dell’ultima tribù; il mare della profezia è il mare di Galilea (che è un lago) e non il Mediterraneo.
A questo punto è bene confrontare 2 Re 15,29.
Mare di Galilea è l’altro nome del lago di Genesaret. Gesù Cristo inizia a predicare con le stesse parole del Battista ma con lui assume un significato diverso, perché il Regno dei Cieli inizia con il suo ministero. Egli parla dalle loro sinagoghe perché la Sinagoga era il luogo dove la comunità giudaica si riuniva per ascoltare la Parola di Dio e per pregare. Si parla delle loro Sinagoghe perché era già definitiva la separazione tra Giudaismo e Cristianesimo (tenendo presente che il Vangelo fu scritto in tale contesto) sancito dal Concilio di Gerusalemme.
Il termine usato nei quattro Vangeli per designare i fratelli è ADELFOI (ADELFON: qui è il termine originale); tale termine è praticamente identico nei “Canonici” ma non è ben chiaro di che tipo di fratellanza si tratti (desumendolo dal Greco). Noi (intendendo Teologi, studiosi della parola e Filologi biblici) intendiamo in uno e nell’altro senso (ovvero trattasi anche di cugini).
I nostri apostoli vengono fatti pescatori di uomini; il termine fatto deriva da POIEO. Inoltre, i loro nomi sono scritti nel cielo e giudicheranno le dodici tribù di Israele perché (e la corrispondenza è tra l’Antico e il Nuovo Testamento) l’immagine della rete della pesca richiama la misericordia e anche la chiamata al giudizio di Dio.
Secondo Matteo Gesù inizia a predicare dopo il Battesimo e il digiuno nel deserto. Isaia è il profeta che fa brillare la luce nelle tenebre. Isaia è parte del profetismo messianico.
La chiamata è pari pari a quella riportata da Marco.
Immerso nelle tenebre significa il peccato, ma Gesù Cristo ha portato la luce sulla terra in senso spirituale. A tutti i popoli nell’ombra della morte (peccato) si avvera la venuta del Messia. Il Messia richiama alla conversione: le parole sono le medesime (come dicevamo più sopra) di Giovanni Battista, nel senso che Lui realizza il Regno di Dio.
Abbiamo la chiamata dei primi discepoli. Primo Pietro come Capo della Chiesa, poi Andrea, detto il virile: la Pietra più la virilità SONO I CARDINI E ANCHE LA FORZA DELLA CHIESA. Un discepolo è coerente e deciso, non è un pusillanime.
La chiamata dei due Apostoli ha un significato particolare: “SEGUITEMI, VI FARÒ PESCATORI DI UOMINI”.
Ora proviamo ad immaginare i volti di questi Apostoli così appellati: certamente saranno stati turbati come chiunque di noi sarebbe turbato.
Poi Gesù chiama altri due fratelli intenti al proprio lavoro, erano anch’essi pescatori e stavano riassettando le reti, li chiamò e subito lo seguirono; udito il Maestro non esitarono ad accogliere la “chiamata”. Essi lasciarono familiari e reti perché alla voce di Dio non bisogna avere indugi. La sequela di Gesù Cristo è una chiamata che va subito messa in atto. Alla fine della narrazione contenuta in questa pericope (brano) evangelica Gesù inizia a predicare insegnando nelle loro sinagoghe e curando i malati.


IV domenica T.O.
LE BEATITUDINI
Leggi Matteo 5, 1-12

SUL MONTE (5,1) - eis to oros: circostanza, non meglio determinata, che ricorre altre volte nella tradizione sinottica (Cfr. 14,23 e MC 3,13); si riferisce alla zona collinosa sovrastante la riva occidentale del Lago di Tiberiade. Ma, poiché Luca dà una circostanza topografica del tutto diversa (Cfr. Lc 6,17: disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante), è probabile che Matteo abbia voluto dare al celebre discorso una cornice teologica, più che topografica, richiamando alla mente dei lettori lo scenario in cui fu promulgata l’antica legge e cioè sul Mone Sinai.
I SUOI DISCEPOLI - OI MAZETAI AUTU: il discorso è rivolto in primo luogo ai seguaci di Gesù (non necessariamente ai dodici), e in secondo luogo, a quanti della folla sarebbero stati disposti a seguirlo.
V. 2 – APRÌ LA SUA BOCCA -  TO OTOMA AUTU: è una formula introduttiva di sapore biblico frequente nella letteratura sapienziale (Cfr. 51,33). Nei vangeli ricorre soltanto qui. Forse, come osserva sant’Agostino, si vuole rilevare l0importanza degli insegnamenti che Gesù sta per impartire.
- 3,12: le beatitudini. Il brano, una composizione in prosa ritmata, in cui abbondano le reminiscenze bibliche, fa da introduzione al grande discorso.
Le beatitudini possono considerarsi come il proclama che in otto punti stabilisce le condizioni per accedere e per rimanere nel Regno messianico. Il genere letterario è quello del Macarismo (dal gr.  – MACARIOS = beato), che, a imitazione dei salmi e degli Scritti sapienziali, ha incontrato particolare favore nel Nuovo Testamento; il Macarismo è diventato così una nuova forma di insegnamento che mira a convincere mediante le “benedizioni” e le promesse di felicità; ma mentre nell’Antico Testamento la felicità è vista generalmente in una prospettiva terrena, quella promessa di Gesù è sempre in rapporto al Regno e alla salvezza messianica caratterizzata da una fondamentale tensione escatologica. Non è improbabile in ogni caso che all’origine della presente composizione sia Isaia 61, 1-3 (annuncio ai poveri della Buona Novella), testo utilizzato da Gesù, secondo il Vangelo di Luca, nella sua prima proclamazione messianica nella Sinagoga di Nazareth (Lc 4,17).
- v- 3: Beati i poveri -  - MAKARIOI OI PTOCOI: Questa prima proclamazione che è in fondo l’invito evangelico alla povertà, vede in essa la prima e fondamentale disposizione per il possesso del Regno dei Cieli (V. 3b:  – BASILEIA TON URANON). Il povero (PTOKOS) è chi si trova nel bisogno e domanda aiuto, implora; soprattutto il mendico è una categoria rilevante da questo punto di vista. Ma la povertà qui (a differenza di un passo parallelo di Luca 6,21) ha un senso profondamente religioso; infatti, specifica Matteo, si tratta di una povertà che risiede nello Spirito ( – TO PNEUMATI, dativo di relazione); abbiamo quindi una disposizione interiore dell’animo, una condizione dello Spirito, che rende l’uomo atto per il Regno di Dio. Nei poveri di spirito, come negli anawé-ruah dell’Antico Testamento (Is 29,19; Sal 69,33; Pro 14,21). Si concretizza e si riassume l’ideale dell’uomo religioso, a cui sono rivolte le promesse antiche e al quale sono indirizzate le presenti proclamazioni di felicità: il povero, che apre a Dio la sua Anima afflitta (v. 4) che a lui è spinto nella sua sete di bene (v. 6) in lui confida nelle prove e nelle persecuzioni (V. 10), è mite (v. 5), misericordioso (v. 7), semplice, schietto (v. 8), operatore di pace (v. 9) e così è il beneficiario dei beni messianici. È un ideale che ha il suo prototipo nel Cristo stesso, “povero ed umile di cuore” (11,29).
- V. 4 – Saranno consolati -  - AUTOI PARACLESE-SONTAI: La consolazione di (“Tutti quelli che piangono e si affliggono in Sion”) fa parte del programma di “evangelizzazione dei poveri” annunciato dal Profeta Isaia (61,1-3; Is 40,1, 49,13 e 51,11), consolazione che era una delle attese messianiche più vive di Israele (Cfr. Lc 2,25).
- V. 5: Beati i miti -  - MACARIOI OI PRAEIS: Questa terza beatitudine, che i un buon numero di manoscritti greci figura al II posto e da alcuni critici viene ritenuta non autentica, è una variazione della prima; infatti il greco  (PTOCOS = povero) nella versione greca dei LXX traduce lo stesso termine ebraico ani (povero – Mt 11,29) in cui è evidente la sinonimia (gr.  - PTOCOS oppure  - PRAUS = povero, mite, umile); del resto anche la motivazione di questa beatitudine riguarda il possesso della Terra Promessa, figura del Regno dei Cieli, e indica – Erediteranno la terra -  - AUTOI PLERONOMESOUSIN TEN GHEN: l’espressione proviene dal Salmo 37,11 (Cfr. inoltre Sal 25,12-14; Is 57,13 e 60,21). La Terra è nel suo senso originario la Palestina, la Terra promessa ad Abramo e alla sua discendenza. Ma nel processo graduale di spiritualizzazione essa era diventata già in epoca pre-cristiana il simbolo dell’eredità celeste.
- V. 6 – Fame e sete della giustizia -  - FAME E SETE DI GIUSTIZIA: Fra le promesse fatte ripetutamente da Dio al popolo eletto figura quella del completo appagamento dei due bisogni fondamentali dell’uomo: la fame e la sete (Cfr. Is 49,10; 65,13; Sal 131,13). Si trattava in primo luogo della fame e sete reale, d’ordine fisico, dal momento che Dio si era impegnato con il popolo, qualora si fosse mostrato a lui fedele, di provvedere al suo sostentamento; l’adempimento di tale promessa era legato alla “giustizia” del popolo (= Fedeltà alla legge) e a quella di Dio (= Fedeltà alle sue promesse). Nel processo di spiritualizzazione, che, iniziato nell’Antico Testamento, giunse a maturazione nel Nuovo Testamento, oggetto della fame e della sete non sono tanto i beni di origine materiale, quanto lo giustizia, che è perfezione morale da parte dell’uomo, e, da parte di Dio, somma dei beni spirituali ed escatologici emanati dalla sua volontà salvifica. La fame e sete della giustizia, diversamente che il Luca dove, come nella prima beatitudine non figura la specificazione spirituale della giustizia (Cfr. LC 6,21), s’identificarono in Matteo con l’impegno, la ricerca, il desiderio (sentito con la stessa intensità del bisogno della fame e della sete), di attuare e far attuare in sé e nel mondo il piano salvifico di Dio espresso nel suo Regno.
- V. 7: Beati i misericordiosi -  - MACARIOI OI ELEEMONES: questa e le due seguenti beatitudini sono proprie di Matteo. La misericordia è, nell’Antico Testamento, un attributo di Jhavé che si rivela come Dio di bontà e misericordia (Esodo 34,6). Nel Nuovo Testamento troviamo la stessa immagine di Dio, Padre di tutte le misericordie (2Corinzi 13).
Il Cristo, che riceve lo stesso appellativo di misericordioso (Ebrei 2,17), impone ai suoi discepoli di essere misericordiosi come è misericordioso il Padre che è nei Cieli (Luca 6,36). Nella presente beatitudine, si fa accenno alla legge del perdono cristinao: perdonare per essere perdonati (6,12), usare misericordia per trovare misericordia (18,23-35).
- V. 8: Puri di cuore -  - OI KAZAROI TE CARDIA: mentre nel giudaismo si insisteva molto sulla purità rituale che spesso, nell’interpretazione dei Farisei, si risolveva in una purezza esteriore (15,2), nel Regno messianico quello che conta è la purezza interiore (cuore, nel linguaggio orientale e biblico, vuol dire l’interno). Perciò “l’interno del piatto” deve esser limpido, non tanto l’esterno (cfr. 23,25), poiché “dal cuore”, cioè dall’intimo dell’uomo, provengono “pensieri malvagi, omicidi, adulteri, fornicazioni, furti e false testimonianze, bestemmie” (15,17). L’ideale evangelico della purezza interiore si ricollega espressamente alla predicazione dei profeti che insistevano sull’interiorità del culto e del servizio prestato a Dio (cfr. Am 4,1-5; Os 6,6, Is 1,10-17, ecc.); da qui la preghiera del salmista: “crea in me un cuore puro” (Sal 51,10).
- Vedranno Dio -  - AUTOI TON ZEON OUONTAI: nel linguaggio biblico vedere Dio significa godere della sua Grazia, gustare la sua presenza.
Nell’Antico Testamento è considerato (salire sul Monte di Dio e gustare la sua presenza) solo a chi ha le mani monde e il cuore puro (Sal 24,3).
- V. 9 – Beati gli operatori di pace -  - MACARIOI OI EIRENOPOIOI: Nel popolo eletto la cui storia è spesso turbata dal flagello della guerra, la pace era uno dei beni desiderati. La pace, dono di Dio, è legata alla giustizia, in altre parole alla pace con Dio. Per questo l’era messianica, nei vaticini profetici, è presentata come l’era in cui fioriranno soprattutto giustizia e abbondanza di pace (Sal 72,7) e lo stesso Messia sarà chiamato con il nome di pace (Michea 5,3). Per questo la pace è la sintesi dei beni promessi da Dio per i tempi messianico - escatologici.
Lavorare, dunque, per la pace e farsi collaboratori di Dio, sui imitatori .
- V. 10 – Beati i perseguitati per causa della giustizia -  - MACARIOI OI DEDIOGMENOI ENEKEN DICAIOSUNTES: Il Regno il cui programma di giustizia e di pace, non si farà strada nell’umanità se non in mezzo a lotte e opposizioni di ogni genere il problema della persecuzione religiosa, già collettiva che individuale, è un tema molto noto nella letteratura e nell’esperienza veterotestamentaria (Cfr. Sal 7,2 e 35,3… Geremia 15,15); la risposta a tale problema era spesso quella della vendetta divina invocata sui persecutori.
L’insegnamento di Gesù, corroborato dal suo esempio (Cfr. 5,44 e 10,22; Mc 2,14; Lc 21,12), da una risposta nuova, facendo della persecuzione una condizione beatificante per il possesso del Regno.
- Di essi è il Regno dei Cieli -  - AUTON ESTIN E BASILEIA TON URANON: L’espressione ci riporta al versetto 3, con cui forma la “inclusio”, con il caratteristico espediente letterario delal stilistica semitica. Cioè indica che il versetti 3-10 costituiscono un’unità letteraria ben definita; perciò il v. 11 è da considerarsi come l’applicazione dell’ottava beatitudine, da essa letterariamente distinta.
- V. 11 – Quando vi insulteranno - 
- OTAN ONEIDISOSIN UMAS: è un accenno alle gravi persecuzioni che in ogni tempo cercheranno di contrastare il paso al Regno di Dio. Nessuna meraviglia: i nuovi “profeti” non possono aspettarsi un trattamento diverso da quello toccato agli antiche messaggeri di Dio, come, per esempio a Giovanni 26,7-24, a Zaccaria Figlio di Barakia (23,35) e all’ultimo dei profeti, Giovanni il Battista (cfr. 14,3).




IL SALE APOSTOLICO
V domenica del Tempo Ordinario anno A
Leggi Matteo 5, 13-16

V. 13 Si dovrà dare sapore -  - MARAZEE = SAPORE: Il testo greco ammette anche un’altra traduzione e cioè: “con che cosa gli si restituirà il sapore” = EN TINI ALISZESETAI
Che cos’è il sale? Perché Gesù afferma che il cristiano è sale? Perché non esiste un espediente con cui salare il sale , se questo perde il suo sapore?
Talvolta accade che il sale acquistato non renda salati i cibi e quindi insipidi; per tanto è necessario aggiungerne altro. Alcuni tipi di sale, ad esempio, si definiscono iposodici; essi sono utili ai pazienti affetti da diabete che sono obbligati ad utilizzarlo a causa di ipertensione; il cristiano “ammalato” o “intriso di peccato” è il “sale iposodico”, colui che può perdere la fede.
Sallustio parla di tribù africane che ignoravano l’uso del sale. Può essere che n’esistano tuttora: in fondo un pastore nomade, che si sposta portandosi dietro tutto ciò che ha, latte fresco e animali vivi, ha ben poco di deperibile da dover conservare. Ma per poco che si passi da questa primitiva vita nomade a una vita agricola stabile, il sale diventa indispensabile.
La città, che non può non accumulare e conservare cose deperibili, ha assolutamente bisogno del sale.
Il sale, se sparso su un campo agricolo, impedisce la crescita di qualsiasi coltura. Nell’antichità, gli invasori solevano gettare il sale sulle colture una volta conquistata una città, una regione. Le colture diventavano improduttive. Il “sale apostolico” è molto forte, è l’amore che brucia e così deve essere il cristiano.
La preziosità di quest’elemento è ricordata dal fatto che indichiamo col termine “salario” il guadagnarsi la vita; diciamo “caro e salato” un bene d’alto prezzo. Senza sale la carne si corrompe. Inoltre:
Il sale: ha potere di conservare e il conservare richiama la forza della vita. Il sale ha anche una funzione purificatrice.
Nel rito antico della Chiesa cattolica al neo-battezzato erano cosparse le labbra di sale affinché fosse sapiente nella vita, conservando la fede e annunciando la buona novella nell’età adulta.
L’antica credenza popolare insegna che i demoni sono avversi al sale. Secondo la dottrina teologica antica, il sale aveva potere di esorcismo .
Nel libro di Giobbe si afferma che un cibo insipido non è buono e anche i credenti non possono amare le cose insipide.
Nell’Antico testamento il sale era usato nei sacrifici dell’alleanza con Dio e l’olocausto comportava lo spargimento di sale sulla vittima.
In Levitico 2,13 si afferma: “Dovrai salare ogni tua offerta di oblazione: nella tua oblazione non lascerai mancare il sale dell’alleanza del tuo Dio; sopra ogni tua offerta offrirai del sale”.
Il sale simboleggia, tra l’altro, un’alleanza duratura. Esso diviene simbolo dell’incollabile fedeltà divina.
Eliseo risanò le acque di una sorgente cattiva (2 Re 2,19.22: “Gli abitanti della città dissero a Eliseo: “Ecco è bello soggiornare in questa città, come tu stesso puoi constatare, signore, ma l’acqua è cattiva e la terra è sterile”… Le acque rimasero sane fino ad oggi, secondo la parola pronunciata da Eliseo”.
Il sale è ancora simbolo dell’ira divina: ad esempio la moglie di Lot si trasformò in una statua di sale perché, disobbedendo al comando del Signore, guardò incuriosita la distruzione di Sodoma e Gomorra.
Gesù minaccia la mancanza della salvezza nel caso di avere reso insipida la propria vita cristiana.
San Girolamo afferma che Cristo stesso è il sale celeste che permea cielo e terra con la sua forza dispensatrice di vita.
V. 14 – Luce del mondo -   - UMEIS ESTE TO FOS TU COSMU: proprio come Gesù, il quale di sé dirà: “Io sono la luce del mondo” (Gv 8,12). Nell’Antico Testamento si afferma che “Israele è luce delle genti” (Is 42,6). Per fede la luce delle genti è Gesù e la fede non può restare nascosta (“Non può restare nascosta una città collocata sopra un monte” – v. 14b). Nel giudaismo tale immagine era riferita volentieri alla Legge o al Tempio, come anche ad eminenti personalità religiose. Qui si vuole insinuare che questa prerogativa dell’antico Israele passa al nuovo popolo di Dio.
Una città posta su un monte -  - U DUNATAI POLIS CRUBENAI EPANO OROUS CHEIMENE: il pensiero degli uditori dovette correre senz’altro a Gerusalemme, adagiata sul monte del Signore, da dove doveva irradiarsi la Luce salvifica della parola di Javhé (Is 2,3).
Il moggio -  - TON MODION: recipiente per misurare il grano.


DISCORSO SUI DIECI COMANDAMENTI
VI domenica Tempo Ordinario anno A
Leggi Matteo 5,17-37

V. 17 – La legge e i profeti -  - TON NOMON E TUS PROFETAS: è l’espressione usuale al tempo di Gesù per designare le
Sacre Scritture. Più esattamente: la Legge (Ebraico Tohah ) comprendeva i primi cinque libri della Bibbia, detti anche con la parola greca, Pentateuco; mentre i profeti abbracciano non solo i libri profetici propriamente detti, ma anche i libri storici (detti anche profeti anteriori) e, in senso largo, gli altri scritti sacri.
Legge e Profeti-  - TON NOMON E TUS PROFETAS, come lo si nota da altri passi del Vangelo (Cfr. 7,12; 11,13) esprimono, nel pensiero di Gesù, la volontà divina rivelatasi nell’Antica alleanza. – Compiere -  - PLEEROO = COMPIERSI: il significato è molteplice ed é variamente usato nel Nuovo Testamento e vuol dire: mettere in pratica i precetti della Legge; adempiere le antiche profezie (come spesso in Matteo), portare alla perfezione, completare, sebbene i primi due sensi non siano estranei nella forma mentis di Gesù. In questa celebre affermazione è prevalente l’ultimo significato: Gesù è venuto a portare a compimento la rivelazione della divina volontà espressa solo imperfettamente nell’antica legge. Tale perfezionamento e superamento non è abrogazione.
V. 18 – In verità -  - AMEN: il testo greco riporta la parola orientale ebraico-aramaica Amen. L’uso di questa parola, così frequente nella bocca di Gesù ma estranea al giudaismo, è caratteristico del Nuovo Testamento e nella Chiesa primitiva; va riportato senz’altro a Gesù che vuole sottolineare l’autorità vincolante delle sue affermazioni.
Finché non passino -  - EOS AN PARELZE: Non è da ricercare in questa frase un accenno alla fine del Mondo visibile ; essa è una locuzione di tipo popolare che è l’equivalente di giammai (Cfr. Giobbe 14,12).
Il cielo e la terra -  - O URANOS CAI E GHE: denota secondo l’uso comune in oriente, l’universo creato.
Non passerà neppure uno iota o un segno dalla legge, -  - IOTA ENE E MIA CHERAIA U ME PARELZE APO TU NOMU: lo Jota (ebraico Jod) è la lettera più piccola della scrittura quadrata ebraica, mentre l’apice è un segno ornamentale che si accompagnava ad alcune lettere.
Lo Iota e l’Apice sono immagini che rappresentano i comandamenti più piccoli o secondari della legge.
Prima che tutto accada -  - EOS AN PANTA GENETAI: la frase è forse volutamente oscura; può essere intesa nel senso che tute le cose create giungono alla fine, e allora riprenderebbe il pensiero del “passaggio” del cielo e della terra. È più verosimile, invece, che Gesù intenda parlare del compimento ossia del perfezionamento della Legge.
In quest’interpretazione, gli uditori, naturalmente attaccati come ogni buon Israelita alla Legge mosaica, avrebbero potuto capire tale compimento come osservanza scrupolosa dei precetti della legge, mentre nel pensiero recondito di Gesù s’intendeva il perfezionamento della Legge antica mediante la nuova.
V. 19 – Scioglierà – “SCIOGLIERÀ (QUESTO TERMINE È RIPORTATO DALLA BIBBIA EDIZIONI SAN PAOLO; LA BIBBIA CON LA TRADUZIONE CEI RIPORTA TRASGREDIRÀ CHE PROBABILEMENTE SIGNIFICA RENDERE UNA NORMA PRIMA DI EFFICACIA, QUINDI CORRETTO ANCHE IL PRIMO TERMINE. IN GRECO SUONA:  - TRASGREDIRÀ TRANSILETTRATO LUSE)”: in ambiente giudaico sciogliere è un termine giuridico che vuol dire: dichiarare scaduta, priva di rigore, non obbligante una disposizione legale.
Minimo nel Regno dei Cieli - OUTOS MEGAS CLEZESETAI EN TE BASILEIA TON URANON: la concezione del tempo ammetteva diversità di posti nel Regno di Dio; l’infimo si riteneva riservato a chi avesse trascurato i piccoli precetti della legge.
In base alla caratteristica logica orientale che non distingue fra contrario (più - meno) e contraddittorio (si - no) e viceversa, essere “minimo” nel Regno dei cieli può anche significare esserne escluso del tutto (Cfr. Il v. seguente).
V. 20 – La vostra giustizia -  - ME PERISSEUOE UMON: il concetto nuovo che il seguace di Gesù deve avere, nella mente e nella pratica, circa le esigenze della divina volontà (norma suprema del retto agire umano) deve essere più alto, più impegnativo che non l’interpretazione che di essa davano gli Scribi e i Farisei, cioè maestri ufficiali della nazione eletta e i ricercatori assidui della giustizia antica.
V. 21 – Avete inteso -  - ECUSATE: l’ascolto delle Sacre scritture e dell’interpretazione fatta di loro dagli scribi nelle sinagoghe era il modo usuale con cui l’uomo comune, per lo più ignaro di lettere, apprendeva le diverse disposizioni.
Fu detto -  - ERREZE: in altre parole comandato da Dio;
Agli antichi -  - TOIS ARCAIOIS: vale a dire agli antenati del tempo dell’Esodo e delle peregrinazioni nel deserto, i quali, con sacro terrore, accolsero ai piedi del Sinai i divini precetti.
Non ucciderai -  - U FONEUSEIS: è una delle proposizioni lapidarie del Decalogo (Cfr. Esodo 20,13).

È sottoposto al giudizio -  - AUTU EICHE ENOCOS ESTAI TE CRISEI: nel Targum, di Gionata (Indicato in Gen [non Genesi ma un capitolo dell’Opera Citata] 9,6) si legge: “Colui che sparge il sangue di un uomo, sulla base di testimoni, sarà dichiarato colpevole di omicidio. Chi, poi, sparge il sangue senza testimoni, il Signore del Mondo lo chiamerà a render conto nel giorno del Gran giudizio”.
Il giudizio, dunque, quando vi sono le prove, è quello dei tribunali umani; in mancanza di esse resta quello divino degli ultimi tempi.
V. 22 – Io, invece, vi dico -  - EGO DE LEGO UMIN: la frase, che ricorre molto spesso nella bocca di Gesù, denuncia specialmente qui, il carattere autoritativo della sua opera di legislatore.
Chiunque si adira con il proprio fratello -  - PAS O ARGHICSOMENOS TO ADELFO: per gli Ebrei, fratello era il titolo di appartenenza al popolo eletto, in forza della comunanza dell’origine, del sangue e della fede religiosa. La stessa concezione passò più tardi alla comunità dei credenti in Cristo, i quali in lui costituirono un'unica famiglia.
Sottoposto a giudizio -  - ENOCOS ESTAI TE CRISEI: il semplice moto d’ira viene messo sullo stesso piano dell’omicidio. Giovanni, l’apostolo dell’amore, s’esprimerà negli stessi termini paradossali: “Chiunque odia il fratello è omicida” (1Giovanni 3,15). Un pensiero analogo è contenuto in sentenza del tempo come queste: “Chi si adira è dominato da tutte le forze della Geenna (Rabbi Jhonatan); “L’ira conduce all’omicidio” (Didachè – Dottrina dei Dodici Apostoli – Cfr. Did 3,2). È la stessa severità con cui era punita l’infrazione alla Carità. Si riscontra presso la comunità degli Esseni di Qumran: “Che non si parli al fratello con ira e risentimento, o con superbia e cuore duro, o con spirito perverso… Chi risponderà al suo prossimo con insubordinazione o gli parlerà con impazienza, sarà punito (con l’espulsione) per un anno” (Manuale di disciplina 6,25-26).
Raca è parola Aramaica che vuol dire: vuoto, sciocco.
Sottoposto al Sinedrio -  - ENOCOS ESTAI TO SUNEDRIO: cioè sottoposto al supremo tribunale della nazione.
Sottoposto al fuoco della Geenna, cioè degno del più grave castigo divino. La Geenna, in altre parole la valle di Hinnom, situata nei pressi delle mura sud-occidentali di Gerusalemme, poiché al tempo dei Re, come riferì 2 Re 23,10, vi si bruciavano i bambini in sacrificio alla divinità Fenicia Malok , tale zona divenne tristemente simbolo del fuoco infernale.
I tre binomi (ira-giudizio, raca-sinedrio, stolto-geenna, non rappresentano tre casi diversi, ma sono tre enunciazioni parallele dello stesso pensiero; e la nota legge del “parallelismo” caratteristica dello stile semitico. È superfluo, inoltre, ricordare che tali enunciazioni, per il loro carattere palesemente paradossale (anche questa una caratteristica del linguaggio orientale e biblico) non vanno prese alla lettera.
V. 23 – Qualcosa a tuo carico -  - SU ECHEI TI PATA SU: indica il debito che un individuo, offendendo il fratello, ha contratto con lui, com’è naturale, il dovere della riconciliazione; cade in primo luogo su colui che causò la rottura. Gesù insegna che tale dovere ha carattere prioritario su tutti gli altri obblighi compresi quelli del culto.
V. 25 – Mettiti d’accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui -  - ISZI EUNOON TO ANTIDICO SU TACU: L’immagine, non priva di un bonario umorismo, è tratta dall’esperienza quotidiana: chi ha debiti non si faccia trascinare in tribunale ma si affretti a soddisfarli, altrimenti sarà peggio.
V. 26 – Quadrante (spicciolo) -  - CODRANTEN: rappresenta uno degli infimi valori del sistema monetario in vigore in Palestina al tempo di Gesù.
V. 27 – Non farai adulterio -  - U MOICHEUSEIS: Questo secondo caso si ricollega al primo (non ucciderai – v. 21) poiché l’adulterio, come l’omicidio, è una lesione della persona in quanto sottrae al legittimo coniuge quello che è considerato, specialmente in ambiente semitico, un bene che gli è proprio.
V. 28 – Guarda una donna per desiderarla -  - PAS O BLEPON GUNAICA PROS TO EPIZUMESAI: Gesù intende perfezionare il Sesto comandamento ricordando la necessità di integrarlo con il Nono (“non desiderare… la donna altrui”); la “donna” ( – GUNE in greco) e dunque la donna sposata e il desiderarla ( EPUZZMESAI. Quest’ ultimo verbo è il medesimo usato dai LXX; per capire il testo del Decalogo si confrontino Esodo 20,14-17 e Deuteronomio 5,14-21) non riguarda tanto un vago sentimento o un semplice pensiero, ma comporta soprattutto un reale compiacimento e, addirittura, un proposito peccaminoso. Esempi di tali sguardi peccaminosi nella letteratura biblica non mancano e sono condannati severamente (Cfr. 2 Samuele 11,2; Daniele 13,20) ma anche nella letteratura rabbinica si riscontra un pensiero analogo al nostro testo evangelico, come la sentenza di Rabbi Lagish che dice: “Tu non devi dire che solo colui che viola il matrimonio con il corpo è adultero, ma lo è anche chi lo viola con gli occhi”.
V. 29 – Se il tuo occhio -  - OI DE O OFZALMOS: il detto dell’occhio () e della mano () a cui si aggiunge quello del piede, è riportato anche da Marco ma in riferimento allo scandalo dei piccoli (Marco 9,43-47). Nel Talmud si legge una sentenza analoga: “Non commetterai adulterio, né con la mano né col piede, o con l’occhio o con il cuore” (Nidda 13b).
Cavalo -  - EXELE: come nel parallelo troncalo, del versetto 30, Gesù usa un linguaggio particolarmente forte, di evidente gusto orientale, per sottolineare la gravità del pericolo costituito dallo sguardo peccaminoso – tutto il tuo corpo –  -TO SOMA SOU , cioè tutta la persona (semitismo).
V. 31 – Chi lascia la sua moglie -  - OS AN APOLUSE TEN GUNAICA AUTU: La disposizione di legge che, permettendo il divorzio, imponeva una attestato ufficiale, si trova in Dt 24,1. Il problema del divorzio, oggetto di un interessante dibattito fra Gesù e i Farisei, sarà riferito in 19,3-9. Qui vien dato solo il nucleo della nuova disciplina matrimoniale.
V. 32 – All’infuori del caso di impudicizia (concubinato) -  - DOTO AUTE APOSTASION (DA CUI APOSTASIA [SCISMA]); ( - PARECTOS-COGU-PORNEIASINI - fornicare, impudicizia, ecc. Impudicizia come aggettivo): con questo inciso sembra che Gesù voglia introdurre un’eccezione alla regola generale, da lui sancita, della indissolubilità del matrimonio. Ma esso riguarda, come sarà spiegato in 19,9, i casi di matrimonio contratti tra parenti, proibiti dalla legge mosaica (cfr. Levitico 18) ammessi però nel diritto greco-romano. Tali matrimoni erano bollati dai rabbini con il termine dispregiativo di ZENUT, ossia “impudicizia, fornicazione”, cioè in linguaggio moderno concubinato. La clausola, propria del Primo vangelo, interessava solo l’ambiente giudaico e per questo non figura in nessun altro passo neotestamentario riguardante lo stesso problema (Cfr. Marco 10,1-12; Luca 16,18 e 1Cor 7,10-11).
La legge dell’indissolubilità, dunque, secondo Matteo, non deve estendersi ai casi di pseudo-matrimonio, cioè alle unioni non “legate da Dio”.
Commette adulterio -  - PAS O APOLUOS TEN GUNAICA: secondo la mentalità allora corrente, solo l’infrazione delal donna era considerata adulterio e punita con le pene più severe (Cfr. Giovanni 8,3-7); ma per Gesù, uomo e donna, sono sullo stesso piano e hanno le stesse responsabilità morali.
V. 33 – Non spergiurerai -  - UCH EPIOSRCHEIS: Gesù si riferisce a vari passi del Pentateuco in cui si danno le norme per la disciplina del giuramento 8cfr. Levitico 19,12, Numeri 32, etc.). La pratica del giuramento, come a tutti i popoli, aveva lo scopo di chiamare Dio a garanzia delal verità, ma poiché le circostanze della vita davano mille occasioni di ricorrere al giuramento, facile ne era l’abuso o per leggerezza o inadempimento.
V. 34 – Non giurare affatto -  - ME OMOSAI OLOS: Anche gli esseni, come riferisce Giuseppe Flavio nella Guerra Giudaica erano dello stesso avviso, considerando il giuramento peggiore di uno spergiuro.
Né per il Cielo -  - METE EN TO URANO: Al tempo di Gesù gli ebrei, per evitare di pronunciare il nome di Dio, ricorrevano a formule e circonlocuzioni in cui si sott’intendeva la divinità.
Il trono di Dio -  - ZRONOS ESTIN TU ZEU: In quest’espressione e in quella che segue riecheggiano le parole di Isaia 66,1: “Così parla Jhavè: “Il cielo è il mio trono…”.
V. 35 – Né per Gerusalemme, perché è la città del gran Re -  - METE EIS IEROSOLUMA OTI POLIS ESTIN TU MEGALU BASILEOS: Espressione biblica che designava la capitale del Regno Teocratico (Cfr. sal 48,3).
V. 37 – Sì, sì, No, no -  - NAI NAI, U U: La formula proviene dall’ambiente forense, e il solo giuramento consentito nella società cristiana che si regge soprattutto sulla sincerità e sulla verità. All’insegnamento di Gesù fa eco l’avvertimento dell’Apostolo Giacomo: “innanzi tutto, fratelli, non giurate: né per il cielo, né per la terra, né in altro modo: ma sia si il vostro si, no il vostro no, per non incorrere nel giudizio (Cfr. Giacomo 5,12).
Il superfluo (il di più) -  - TO DE PERISSON TUTON: quello, cioè che non è secondo verità. In esso entra il maligno, il Padre della menzogna (Cfr. Giovanni 8,44).






DISCORSI DI GESÙ
VII domenica Tempo Ordinario anno A
Leggi Matteo 5,38-48

V. 38 – Occhio per occhio -  - OFZALMON ANTI OFZALMU: è la legge detta “del taglione” in vigore presso tutti i popoli dell’antico oriente. Nel codice di Hammurabi (S. 18 a.C.) si legge: “Se uno schiaccia un occhio a un altro, il suo occhio sarà schiacciato (art. 196)… la pena in questione si chiamo contrappasso ed era valida per qualsiasi resto anche fisico con un ugual pena. Tale legge era stata incamerata nel codice mosaico (cfr. esodo 21,23-25; Levitico 24,19-20; Deuteronomio 19,21).
Accanto a questo principio che, in una società non sufficientemente sviluppata, codificava la vendetta privata, lentamente ma gradualmente si era fatta strada in Israele il principio della non violenza:; il giusto era invitato a rimettere a Dio la sua causa (Cfr. Geremia 20,12) e aspettare il grande giorno della vendetta (Geremia 19,25). Intanto egli doveva togliere dal suo cuore l’odio per il suo fratello…”non ti vendicherai e non serberai ancore per i Figli del suo popolo…” (Levitico 19,17-19).
Lo sforzo di superare il desiderio della vendetta contro la legge dell’amore rimane spesso nell’Antico Testamento un ideale che difficilmente si traduce nella pratica; i salmi imprecatori ne sono una prova. Era compiuto nella rivelazione nuova aprire agli uomini gli infiniti tesori della bontà divina che si ergevano a modello dell’uomo (Cfr. 5,47). Non resistere al male (5,39), ma vincere il male con il bene (san Paolo – Romani 12,21) sarà il principio che, nulla togliendo all’ordine giuridico incaricato di esercitare la divina vendetta sulla terra (romani 13,4), vuol colmare con l’amore il solco funesto scavato dall’odio.
V. 43 – Odierai il tuo nemico -  - MISESEIS TON ECZRON SU: in nessun passo dell’Antico Testamento come neppure nel giudaismo pre-cristiano (con la sola eccezione della sétta di Qumran) viene ordinato esplicitamente di odiare i nemici. La citazione di Gesù si rifà piuttosto a quella mentalità caratteristica del giudaismo che escludeva dal precetto dell’amore del prossimo (è da ricordare che odiare nel linguaggio biblica ha anche il significato attenuato di non amare, o mar meno, per cui (Cfr. Genesi 29,31) quanti non appartenessero alla nazione israelitica e, a maggior ragione, tutti i nemici del popolo eletto. Col passaggio, poi, dell’odio per dir così, negativo a quello positivo, come del resto il passaggio dall’odio dei nemici nazionali a quello dei nemici personali, è facilmente comprensibile. A Qumran viene comandato espressamente di “amare tutti i Figli della luce, odiare tutti i figli delle tenebre” (1Qs 1,3-4.9-10), come vi è il precetto di amare o odiare: odio eterno per l’uomo della perdizione (1Qs 9,22).
V.Amate i vostri nemici - AGAPATE TUS ECZROUS UMON: l’amore positivo dei nemici rappresenta il valore toccato dalla Legge evangelica dell’amore del prossimo. Tale amore, indicato dal verbo greco  – AGAPAO diversamente da  (da cui Eros) che riguarda l’amore profano e da FILEO (amore filiale) che si riferisce al particolare rapporto di amicizia, risiede principalmente nella volontà che si fa disponibile con la comprensione, la benevolenza, il soccorso.
Pregate per quelli che vi perseguitano -  - PROSEUZESZE UPER TON DIOCONTON UMAS: questa specificazione dell’amore per i nemici proviene molto probabilmente dall’esempio del Cristo stesso sulla Croce (Cfr. Luca 23,34) e dal primo martire cristiano Stefano (Atti 7,60).
V. 45 – Perché siate Figli del Padre vostro -  - OPOS GENESZE UIOI TU PATROS UMON: si tratta della filiazione “imitativa”, caratteristica della mentalità semitica. Coloro che si ispirano alla sovrana bontà del Padre celeste sono detti suoi Figli, come Figli del diavolo sono chiamati quelli che ne imitano le opere (Giovani 8,44).
V. 48 – Sarete perfetti (Siate voi dunque perfetti) -  - ESESZE OUN UMEIS TELEIOI: l’ideale di perfezione che Gesù propone ai suoi seguaci raggiunge la vetta suprema: la stessa perfezione di Dio. Ma già nell’Antico Testamento era risuonata una simile richiesta “sarete santi, come io Jahvé, vostro Dio, sono santo” (Levitico 19,2). Nella relazione di Luca il detto di Gesù è riportato in termini più ristretti ma più confacenti a contesto: “Siate misericordiosi, come misericordioso è il Padre Celeste” (Luca 6,36).

DISCORSI DI GESÙ
VII domenica Tempo Ordinario anno A
Leggi Matteo 5,38-48

V. 38 – Occhio per occhio -  - OFZALMON ANTI OFZALMU: è la legge detta “del taglione” in vigore presso tutti i popoli dell’antico oriente. Nel codice di Hammurabi (S. 18 a.C.) si legge: “Se uno schiaccia un occhio a un altro, il suo occhio sarà schiacciato (art. 196)… la pena in questione si chiamo contrappasso ed era valida per qualsiasi resto anche fisico con un ugual pena. Tale legge era stata incamerata nel codice mosaico (cfr. esodo 21,23-25; Levitico 24,19-20; Deuteronomio 19,21).
Accanto a questo principio che, in una società non sufficientemente sviluppata, codificava la vendetta privata, lentamente ma gradualmente si era fatta strada in Israele il principio della non violenza:; il giusto era invitato a rimettere a Dio la sua causa (Cfr. Geremia 20,12) e aspettare il grande giorno della vendetta (Geremia 19,25). Intanto egli doveva togliere dal suo cuore l’odio per il suo fratello…”non ti vendicherai e non serberai ancore per i Figli del suo popolo…” (Levitico 19,17-19).
Lo sforzo di superare il desiderio della vendetta contro la legge dell’amore rimane spesso nell’Antico Testamento un ideale che difficilmente si traduce nella pratica; i salmi imprecatori ne sono una prova. Era compiuto nella rivelazione nuova aprire agli uomini gli infiniti tesori della bontà divina che si ergevano a modello dell’uomo (Cfr. 5,47). Non resistere al male (5,39), ma vincere il male con il bene (san Paolo – Romani 12,21) sarà il principio che, nulla togliendo all’ordine giuridico incaricato di esercitare la divina vendetta sulla terra (romani 13,4), vuol colmare con l’amore il solco funesto scavato dall’odio.
V. 43 – Odierai il tuo nemico -  - MISESEIS TON ECZRON SU: in nessun passo dell’Antico Testamento come neppure nel giudaismo pre-cristiano (con la sola eccezione della sétta di Qumran) viene ordinato esplicitamente di odiare i nemici. La citazione di Gesù si rifà piuttosto a quella mentalità caratteristica del giudaismo che escludeva dal precetto dell’amore del prossimo (è da ricordare che odiare nel linguaggio biblica ha anche il significato attenuato di non amare, o mar meno, per cui (Cfr. Genesi 29,31) quanti non appartenessero alla nazione israelitica e, a maggior ragione, tutti i nemici del popolo eletto. Col passaggio, poi, dell’odio per dir così, negativo a quello positivo, come del resto il passaggio dall’odio dei nemici nazionali a quello dei nemici personali, è facilmente comprensibile. A Qumran viene comandato espressamente di “amare tutti i Figli della luce, odiare tutti i figli delle tenebre” (1Qs 1,3-4.9-10), come vi è il precetto di amare o odiare: odio eterno per l’uomo della perdizione (1Qs 9,22).
V.Amate i vostri nemici - AGAPATE TUS ECZROUS UMON: l’amore positivo dei nemici rappresenta il valore toccato dalla Legge evangelica dell’amore del prossimo. Tale amore, indicato dal verbo greco  – AGAPAO diversamente da  (da cui Eros) che riguarda l’amore profano e da FILEO (amore filiale) che si riferisce al particolare rapporto di amicizia, risiede principalmente nella volontà che si fa disponibile con la comprensione, la benevolenza, il soccorso.
Pregate per quelli che vi perseguitano -  - PROSEUZESZE UPER TON DIOCONTON UMAS: questa specificazione dell’amore per i nemici proviene molto probabilmente dall’esempio del Cristo stesso sulla Croce (Cfr. Luca 23,34) e dal primo martire cristiano Stefano (Atti 7,60).
V. 45 – Perché siate Figli del Padre vostro -  - OPOS GENESZE UIOI TU PATROS UMON: si tratta della filiazione “imitativa”, caratteristica della mentalità semitica. Coloro che si ispirano alla sovrana bontà del Padre celeste sono detti suoi Figli, come Figli del diavolo sono chiamati quelli che ne imitano le opere (Giovani 8,44).
V. 48 – Sarete perfetti (Siate voi dunque perfetti) -  - ESESZE OUN UMEIS TELEIOI: l’ideale di perfezione che Gesù propone ai suoi seguaci raggiunge la vetta suprema: la stessa perfezione di Dio. Ma già nell’Antico Testamento era risuonata una simile richiesta “sarete santi, come io Jahvé, vostro Dio, sono santo” (Levitico 19,2). Nella relazione di Luca il detto di Gesù è riportato in termini più ristretti ma più confacenti a contesto: “Siate misericordiosi, come misericordioso è il Padre Celeste” (Luca 6,36).

O DIO O MAMMONA
Domenica VIII del T.O.
Leggi Matteo 6,24-34

V. 24 – Odierà -  - E GAR TON ENA MISESEI: tipico linguaggio biblico che vuol dire: amerà meno... amerà più (Genesi 29,30).
Mammona: parola aramaica che vuol dire ricchezze. Contrapposta a Dio, è qui personificata e rappresenta un nemico, un ostacolo che si frappone fra l'uomo e Dio. Altrove (Cfr. Luca 16,9) Gesù parla della mammona d'iniquità, alludendo ai mezzi non sempre onesti con cui le ricchezze sono acquistate.
V. 28 – I gigli del campo -  - TA CRINA TU AGRU: Non sono i gigli dei nostri giardini, ma umili fiori selvatici che crescono in primavera nelle campagne palestinesi.
V. 32 – Le ricercano i gentili -  - PANTA GAR TAUTA TA EZNE EPIZOTUSIN: L'affannarsi per le cose terrene, anche se necessarie, è comprensibile solo presso i pagani, i quali non conoscono la provvidente bontà del Padre celeste.
V. 33 – Cercate prima il Regno di Dio - - ZETEITE DE PROTON TEN BASILEIAN TO ZEU: Nel Pater l'Avvento del Regno di Dio sta al primo posto; poi viene il pane quotidiano.
Cercare di soddisfare a tutte le esigenze (tale, qui, il senso di giustizia, del Regno deve essere la prima, anzi l'unica preoccupazione del discepolo di Cristo).
V. 34 – Avrà già le sue inquietudini -  - E GAR ARURION MERIMNESEI EAUTES: Si preoccuperà di se stesso; espressione di gusto semitico che vuol dire quasi lasciare ad altri la preoccupazione del domani o disinteressarsene del tutto.



IX domenica T.O. anno A
Non farsi illusioni
Leggi Matteo 7,21-27

V. 21 – Signore, Signore -  - KURIE, KURIE: L’espressione greca ( - KURIE, KURIE) è la formula probabilmente di uso liturgico (come nel Kyrie eleison della nostra Messa), con la quale la Chiesa primitiva esprimeva la sua Fede nel Cristo glorificato (Filippesi 2,11). Alla professione di fede semplicemente ovale in Gesù Signore, il Cristo contrappone quella delal vita modellata sulla volontà del Padre Celeste.
V. 22 – In quel giorno -  - EN ECHEINE TE EMERA: l’espressone biblica che si riferisce al tempo del rendiconto finale.
Non abbiamo noi profetato nel tuo nome -  - U TO SO ONOMATI EPROFE TEUSMEN: il dono della profezia è un carisma largamente attestato nella Chiesa primitiva; con esso in nome di Dio si parlava agli uomini (1Corinzi 14,3) per l’edificazione e consolazione e di tutti.
Abbiamo cacciato i demoni -  - CAI TO SO ONOMATI DAIMONIA EXEBALOMEN: più tardi Gesù darà agli Apostoli l’ordine di sanare gli infermi, risuscitare i morti, guarire i lebbrosi, scacciare i demoni (10,7).
A Corinto San Paolo troverà semplici fedeli insigniti del dono delle guarigioni e del potere di far miracoli (1Cor 12,9-10).
Ma tutti questi carismi sono un nulla se manca il carisma più grande, la carità operante (1Cor 13,2), ovvero una fede grande che ci permette di avere una carità vicendevole.
V. 23 – Non vi ho mai conosciuti –  – UDEPOTE EGNON UMAS: Con la stessa durezza risponderà lo sposo alle vergini stolte che bussano alla porta chiamando “Signore, Signore!” “In verità vi dico: “Non vi conosco!22 (25,12).
Via da me, operatori di iniquità -  - APOKOREITE AP EMON AI ERGAZOMENOI ANOMIAN: la frase, che riprende letteralmente sal 6,9 suona molto simile alla sentenza di condanna del Giudice escatologico (25,41).
V. 25 – E cadde la pioggia…: l’immagine della tempesta che si abbatte su una costruzione si trova già in Ezechiele 13,11 dove leggiamo: “(Il muro) cadrà, ci sarà una pioggia torrenziale; verrà una grandine di enormi proporzioni, si alzerà un vento di tempesta”. Ma anche nella letteratura rabbinica si trovano paralleli a questa parabola evangelica: “A chi può essere paragonato colui che opera molto e studia molto la legge? A un uomo che da al suo edificio un fondamento di pietra. Se viene una grandi inondazione non lo scuote. Colui invece che non ha nessuna opera buona assomiglia a un uomo che, costruendo, metterà alla base mattoni di argilla” (Rabbi Elisha).

X domenica T.O. anno A
La Vocazione di Matteo
Leggi Matteo 9,9-13

V. 9 – Vide un uomo seduto al banco delle imposte - - ECHEIZEN ANTROPON CAZEMENON EPI TO TELONION: Cafarnao era situata ai confini del territorio d’Erode Antipa con quello di suo fratello Filippo, sulla grande arteria commerciale che da Damasco conduceva al Mediterraneo; ciò spiega la presenza nella zona di numerosi addetti alla riscossione delle tasse, gli odiati pubblicani, i quali costituivano una nota casta.
Un uomo chiamato Matteo -  - MATZAION LEGOMENON: nel racconto parallelo sia di Marco sia di Luca invece di Matteo si parla di Levi, Figlio d’Alfeo (Marco 24,14; Luca 5,27).
Si parla senza dubbio dello stesso personaggio, vale a dire dell’Apostolo Matteo, il Pubblicano (10,3), che compare in tutti gli elenchi dei dodici riferitoci dai Vangeli. Avere due nomi non era cosa insolita ai tempi di Gesù (1Maccabei 2,2-5). Matteo è, secondo l’antichissima tradizione ecclesiastica, l’autore di questo vangelo.
V. 10 – Mentre Gesù sedeva a mensa in casa -  - KAI EGHENETO AUTU ANACHEINENU EN TE OICHIA: è probabilmente il banchetto di addio che il nuovo Apostolo dà ai suoi ex colleghi per sottolineare la serietà e il carattere definitivo della sua risposta alla singolare chiamata del Maestro di Nazareth.
Pubblicani e peccatori – - TELONAI CAI AMARTOLOI: la stretta associazione tra pubblicani e peccatori che fa delle due classi di persone una sola (Così in Marco e in Luca) abbina la qualifica professionale dei gabellieri a quella etica religiosa dei prevaricatori, dei trasgressori della Legge, dei nemici di Dio e del suo popolo. Tale associazione ha un fondamento reale nelle facili angherie e soprusi cui i gabellieri, approfittando del totale disinteresse che le autorità mostravano in questo campo, si abbandonavano nell’esercizio della loro professione (Luca 3,13; 19,8) e, allo stesso tempo, nell’orgoglio ebraico che vedeva nella riscossione delle tasse per conto dell’odiata dominazione romana un misconoscimento della suprema sovranità di Dio sul suo popolo. Per questo nella letteratura rabbinica i PUBBLICANI (TELONAI), la cui professione è condannata come attività ladresca ed empia, figurano nell’elenco delle professioni disoneste.
V. 11 – Mangia con i pubblicani e i peccatori -  - DIA TI META TON TELONON CAI AMARTOLON: poiché prendere insieme i pasti voleva dire in oriente comunanza di vita e di sentimenti, per questo la vista di gente indegna seduta a mensa con Gesù e i suoi discepoli (v. 10) scandalizza i puritani farisei.
Il problema dei pasti presi in comune dei cristiani di provenienza pagana con quelli di origine giudaica fu un problema molto sentito nella prima generazione cristiana, la cui eco si fa sentire qua e là nel Nuovo Testamento (Atti 10,28; 11,2-3; Galati 2,12).
V. 12 – Non sono i sani che hanno bisogno del medico -  - U CREIAN ECOUSIN OI ISCUONTES IATRU ALLO I KAKOS ECONTES: Gesù risponde con un proverbio di evidente efficacia; tuttavia non intende affatto annoverare fra i (SANI -  - ISCUONTES) i Farisei, che proprio per la loro cieca presunzione avevano bisogno delle cure del Medico divino, come viene ben illustrato nella parabola del Fariseo che, a differenza del pubblicano, torna a casa “non giustificato” (Luca 18,9-14).
V. 13 – Misericordia cerco e non sacrificio - - ELEOS ZELO CAI U ZUSIAN: La citazione scritturistica, qui certamente non è al suo posto (12,7), è Osea, in cui Jhavé sollecita il suo popolo ad imitare la divina misericordia (Hesed) e a non accontentarsi del solo culto esterno.
Intrattenendosi con i pubblicani e i peccatori, Gesù mostra di essere nella linea della (misericordia -  - ELEOS) e rimprovera ai Farisei il loro legalismo che li rende insensibili ai reali bisogni dello Spirito.

Chiamata degli Apostoli
XI domenica T.O.
Leggi Matteo 9,36-10,8

V. 36 – Pecore senza pastore -  - PROVATA ME ECONTA POIMENA: l’immagine è ben nota nell’Antico Testamento, specialmente presso i profeti (Cfr. Ezechiele 34,2-6: “Figlio dell’uomo, profetizza contro i pastori d’Israele, predici e riferisci ai pastori: Dice il Signore Dio: Guai ai pastori di Israele, che pascono se stessi!... non dovrebbero forse pascere il Gregge?... Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme…non avete riportato le disperse…Per colpa del pastore si sono disperse…Vanno errando tutte le mie pecore in tutto il paese e nessuno va in cerca di loro e se ne cura”). Il Loghion delle “pecore senza pastore” ricorre in Marco che lo pone a preambolo della moltiplicazione dei pani (Marco 6,34).
V. 37 – La messe è molta -  - O MEN ZERISMOS POLUS: è una nuova immagine (quanto detto è riportato da Luca nell’invio da parte di Gesù dei settantadue discepoli (Luca 10,2) che si sovrappone a quella del gregge; anch’essa è un’immagine biblica riferita al compimento dei tempi (Cfr. Galati 4,12-13). Vi è anche l’invito del Padre Celeste a “mondare la sua aia”, per raccogliere il suo frumento nel granaio” (3,12). In quest’opera egli vuole associarsi dei collaboratori quanto più numerosi possibile; per questo bisogna far pressione presso il padrone della messe che ne mandi in gran numero.
Cap. 10, v. 6 – Il discorso missionario: dopo la sezione narrativa viene secondo lo schema abituale di Matteo quella didattica. Presentata sotto la veste di un “discorso” sono raccolti vari ammaestramenti, impartiti da Gesù in diverse circostanze, concernenti l’ammissione degli Apostoli (dei discepoli in genere) alla missione che li attende. Fin dall’inizio del suo ministero pubblico Gesù si è scelto degli uomini e li ha associati alla sua opera. Nel chiamare i primi quattro, n’aveva precisato il compito: sarebbero stati pescatori d’uomini –  – ALEEIS ANTROPON (4,19). Più tardi il numero dei prescelti salì a dodici; le loro funzioni sono: essere con Lui, annunciare la buona novella e liberare gli ossessi (Marco 3,14-15).
La “missione” degli apostoli non è altro che il prolungamento della missione di cui Gesù stesso è stato investito dal Padre: “Come il Padre…” (GV 20,21); Cristo, infatti, è l’apostolo di Dio per eccellenza (Ebrei 3,1). L’invio d’uomini con un messaggio di salvezza non è cosa nuova nella Storia biblica; tutto il profetismo antico ci svela il disegno di Dio che vuol salvare l’uomo per mezzo dell’uomo. La vocazione profetica, infatti, ha proprio questo senso: “Prima che ti formassi nel seno materno…” (Geremia 1,5-10). Il compito degli antichi profeti fu soprattutto edificare e piantare. Tale anche è la missione che Gesù affida ai suoi Apostoli, ossia quelli incaricati della ricostruzione dell’Antico Israele e quelli inviati a edificare la Chiesa, l’Israele di Dio (Galati 6,16). Il Nuovo Popolo di Dio, che si compone delle dodici tribù d’Israele trasfigurate, (Apocalisse 7,4-8), sarà governato dai Dodici Apostoli (19,28; Apocalisse 21,12-14).

Appendice:
1) I Dodici suoi Discepoli: “DODICI” è il numero sacro della tribù d’Israele. – Il potere,  – EXOSZSIAN, è lo stesso di cui è investito Gesù (9,35); i discepoli eserciteranno tale podestà soprattutto dopo la risurrezione, nella loro missione, definitiva “a tutto il mondo” (Marco 16,17-18).
2) Apostolo –  - APOSTOLOS: il termine, parola greca che vuol dire: messo, inviato è d’uso comune negli scritti apostolici e nel Vangelo di Luca ricorre, invece, una sola volta in ciascuno dei tre Vangeli. Nel giudaismo rabbinico posteriore al 70 d.C. è attestata l’istituzione “inviati ufficiali” (selihin), i quali, però avevano dovuto risalire ai tempi più remoti (Atti 9,2).
- Per primo: l’aggettivo che compare solo in questa lista di Matteo, sarebbe superfluo, se non avesse un significato particolare: esso allude al primato di cui Matteo parlerà esplicitamente in 16,18-19.
- Pietro e Andrea: la loro vocazione, come quella dei Figli di Zebedeo, è stata narrata in 4,18-22. Simone detto Pietro, dopo che il suo nome fu cambiato in Cefa. Muore martire crocefisso con la testa rivolta verso il basso poiché, come disse lo stesso Pietro, la sua indegnità era tale che quindi non meritava di morire come il Maestro. Morì a Roma nel 65 d.c.; da recenti ricerche, si desume che i suoi resti si trovino sotto l’altare della basilica di San Pietro; alcuni ritrovamenti hanno individuato una pietra sepolcrale con l’iscrizione Petrus e così hanno potuto determinare il luogo della sepoltura.
- Andrea e Giacomo: sono fratelli e il loro padre era Zebedeo. Per Giacomo si confronti Atti degli Apostoli 12,12. Erano originari di Betzaida. Andrea divenne missionario nei Balcani e in Russia meridionale; subì il martirio per motivi di politica ecclesiastica e a lui si attribuisce la fondazione della comunità di Bisanzio. Per quanto non si conosca la data del martirio, alcune leggende dicono che morì crocifisso sulla famosa “croce di Sant’Andrea”. Con suo fratello Giacomo sono definiti i Figli del Tuono (Boanerges). Per la loro irruenza nel predicare e con Pietro e Giovanni, costituirono il gruppo dei prediletti. Giacomo fu decapitato nel 44 d.C. sotto Erode il piccolo; egli fu capo della Chiesa di Gerusalemme e fu molto importante nel concilio. Giacomo, invece, fu lapidato nel 62 d.C.
- Giovanni: era l’apostolo prediletto da Gesù poiché giovane d’età e puro come un fiore, tanto è vero che Gesù stesso le affida la madre sotto la Croce; ciò stava a significare che sarà l’unico Apostolo a non morire martire. Egli, infatti, morì longevo ad Efeso nel primo quarto del secolo II d.C.
- Filippo: come Pietro e Andrea, era nativo di Betsaida, sulla riva settentrionale del lago di Tiberiade (Giovanni 1,44). I testi affermano che abbia predicato nella Palestina e nella Frigia, dove fu crocefisso e lapidato.
- Bartolomeo (Giovanni 1,45.21,2): Egli era figlio di Tolomai. La leggenda lo vuole predicatore nella Frigia, nell’Armenia, nell’India ove subì il martirio (fu decapitato e scorticato). Da molti è identificato con il nome di Natanaele, più usuale in oriente dal secolo IX e in occidente dal secolo XI, per cui è improbabile tale identificazione.
- Tommaso (Giovanni 11,6): dall’aramaico Teoma, detto didimo, in altre parole gemello. Egli ha il primato dell’incredulità proverbiale, ma la sua incertezza riguardava non tanto il Gesù storico (uomo) quanto il Gesù Dio risorto (lì stava il suo dubbio). Egli operò nella Siria settentrionale e in India, dove vi morì martire a causa di un colpo di lancia. Incerta è la datazione.
- Matteo il Pubblicano (9,9): Matteo significa innanzi tutto “dono di Dio”, pubblicano perché era un agente prestante servizio presso il governo romano, addetto alla riscossione dei tributi; tali categorie erano odiate dai Giudei poiché alcuni erano disonesti nella riscossione degli stessi. È noto anche con l’appellativo di Levi e non si conosce la data esatta della morte e nemmeno in che modo. L’unico dato certo è che il suo Vangelo fu scritto quindici anni dopo la morte/risurrezione di Gesù.
- Giacomo d’Alfeo: egli è identificato come Giacomo il minore, primo Vescovo di Gerusalemme; in 27,25 fu identificato anche come Figlio di Maria, detto Cleofa che significa Alfeo(Mc 15,40); è parente, cugino probabilmente del Signore (Gal 1,19 e At 15,13).
- Taddeo (Luca 6,16): il significato del nome è “Il coraggioso”; il sostantivo può anche venir letto come Lebbeo (viene anche chiamato Giuda Taddeo); nulla si sa della sua attività apostolica né della sua morte.
- V. 4 – Il Cananeo – o K - KANANANIOS: appellativo dall’aramaico Qunanà (pr. KANANÀ) che Luca traduce come Zelota, infatti, è in dubbio che apparteneva alla setta degli Zeloti e anche per lui non si conoscono né attività apostolica né dati sulla sua dipartita.
- Giuda Iscariota: tale nome deriva dalla tribù e dalla città di Giuda (Giosué 15,25). Non è un dato certo, poiché riguardo ai nomi di Città contenuti nel libro di Giosué bisogna dire che la traduzione dal testo greco risultò difficoltosa, quindi forse inesatti. Nella tradizione neotestamentaria è identificato come il traditore di Gesù; egli era un falso calcolatore e mirava più che altro ad un posto terreno, pensando di diventare il tesoriere del futuro Re. Era nativo di Keirot, piccola regione non ben identificata. Vendette Gesù per trenta denari e a causa della disperazione provocata dal rimorso s’impiccò.
- V. 5 – In una via di gentili - EIS ODON EZNON ME APELZETE: la proibizione di estendere il viaggio dell’attività apostolica al di fuori di Israele (inclusi i Samaritani considerati dai Giudei come semi-pagani (Giovanni 4,7) corrisponde a un preciso piano divino; con ciò concorda l’affermazione di Gesù di non essere stato inviato se non alle pecore perdute d’Israele (15,24). La salvezza messianica doveva essere offerta prima al popolo eletto e, solo in un secondo tempo, vale a dire dopo la risurrezione, agli altri popoli (Romani 1,16). Marco e Luca, che scrivono per i gentili, omettono, per ovvie ragioni, questa proibizione.
- V. 7 – È vicino - EGGHICHEN E BASILEIA TON URANON: il tema dell’annuncio è lo stesso di Gesù (4,17) come già del Battista (3,2).
- V. 8 – guarite gli infermi - ASZENONTAS ZERATEUETE: i miracoli qui enumerati sono i segni distintivi del tempo messianico, come Gesù, citando Isaia 33,5, dichiarerà esplicitamente in 11,5.
- Gratuitamente - DOREAN: anche presso i rabbini vigeva (almeno in teoria) il principio dell’insegnamento gratuito della legge.

Via ogni timore
XII domenica T.O.
Leggi Matteo 10,26-33

- V. 26 – Non abbiate paura. La frase in greco viene tradotta così: “Non li temete dunque”; frase giusta:  - ME UN FOBETZETE AUTUS: l’invito di Gesù a bandire ogni timore, che suona come un grido di vittoria (Giovanni 16,38), è ripetuto nel mezzo (V. 1.28) e verso la fine (v. 31) e serve da leit-motivi di tutto il brano. Anche Giovanni Paolo II riprese questo concetto all’inizio del suo pontificato.
- Non abbiate paura  - ME UN FOBETZETE AUTUS: con questa frase Gesù ci invita a non avere paura della sua proclamazione. Il timore e la paura non devono predominare ma neanche il grido di vittoria.
Gesù intende farci capaci che non dobbiamo temere la more del corpo ma Satana, che fa perire corpo e anima nella Geenna e ci esorta che siamo molto più importanti dei passeri, siamo sue creature degne di stima presso il Figlio e presso il Padre.
Anche Gesù ha vinto il mondo con la sua morte.
- V. 27 - Ciò che vi dico nelle tenebre -  - O LEGO UMIN EN TE SKOTIA: la predicazione di Gesù fu prima rivolta a un gruppo apostolico ristretto, in seguito divenne pubblica e kerigmatica (annuncio), anche a costo della morte.
- Nel versetto 29 si parla dei passeri e di monete e Gesù fa il seguente raffronto: il Padre non lascia perire nemmeno un uccello e nemmeno un uomo. La predicazione di Gesù si è limitata all’ambito ristretto della cerchia apostolica (13,11) e poco più; con la missione degli Apostoli al mondo essa diventa una proclamazione pubblica, kerigmatica, anche se metterà a repentaglio la vita dei suoi banditori.
- V. 29 – Un asse –  – ASSARION (soldo): valore monetario corrispondente alla sedicesima parte del denarium.
- Non cadrà...: lo stesso pensiero è espresso in una sentenza rabbinica che dice: “un uccello non perisce senza il cielo e tanteo mento un uomo”.
- V. 30 – Sono tutti numerati (parola esatta CONTATI) -  – PASAI (tutti i santi della Chiesa non verranno toccati dalla persecuzione finale): cioè, da Dio. E' un'iperbole che vuol mettere in risalto come Dio si prenda cura anche dei più piccoli interessi dell'uomo.
- V. 32 – Se uno: “qui non si parla di uno o più in quanto mumericamente contati ma punta il dito su chiunque di noi, poiché la frase veiene tradotta così: “Chi dunque mi rinnegherà...” ARNEOMAI (significa rinnegare o anche praticare il distacco assoluto da Dio): La salvezza o meno dipenderà dall'atteggiamento che l'uomo avrà assunto nei confronti di Gesù, se di intrepida testimonianza o di vile rinnegamento. Fra l'uomo e il Cristo interverrà in qualche modo la legge del taglione: confessione per confessione, rinnegamento per rinnegamento.

Qual è il posto che Gesù occupa nella nostra vita?
XIII domenica T.O.
Leggi Matteo 10,37-42

- V. 38 – “La sua croce” – Vi è un termine importante; essere degno (gr.  – àxios –a – o): tale termine può essere tradotto più correttamente come pregare. Ciò significa che la preghiera è il “leggero” e non più “pesante” legno della croce.
 (stauros) significa solido, forte, bastone, palo, croce ( – ton stauron autou); la traduzione letterale sarebbe croce intesa come forza; in poche parole “Chi non prende il suo bastone e non mi segue, non prega”.
Prendere la propria croce, secondo la terminologia cristiana, vuol dire essere disposti a seguire il maestro fin sul Calvario, cioè imitarlo nel dolore e nella morte.
V. 39 – Avrà trovato la sua vita… la perderà -  - psichì – o euron ten psichìn autu: cioè avrà conservato la sua vita rinnegando Cristo.
V. 40-42: qui, in sostanza, si parla dell’accoglienza del messaggio del Vangelo.
V. 40 – “Chi accoglie voi,… (accoglie me -  - eme decretai; accoglie me significa anche accetta me, ovvero accetta la proposta del Regno -  ton aposteilantame – accetta colui che mi ha mandato): accogliere non è un principio accettato nel giudaismo; che il mandato incontri la stessa persona del mandante. Il discepolo di Gesù è colui che conosce il Padre tramite Gesù stesso.
V. 41 – chi accoglie un profeta – (profeta =  - profeten) Il profeta non è colui che predice il futuro ma colui che parla in nome di Dio, che Rivela Dio.
Profeta può anche essere tradotto con giusto e con discepolo (sono tre varianti di un’unica realtà).
V. 42 – questi piccoli -  - micron = piccolo e sta per uomini mortali.
Questi piccoli: i discepoli di Gesù devono diventare PICCOLI; sono e debbono rimanere piccoli perché di quelli come loro è il regno dei cieli.
Particolarità: offrire un bicchiere d’acqua fresca era un segno di ospitalità di tipo orientale e non implicava alcun tipo di ricompensa. La grazia di Dio conosce molto bene, infatti, i meriti degli uomini.






Glossario:
1) Degno –  – àxios – a – o;
2) Accoglie - ipodhéchome;
3) Ricompensa - andamivi;
4) Prendere - pairno;
5) Trovare - vrisko;
6) Perdere - chano;
7) Giusto - dikaios – i - o;
8) Bicchiere - potiri;
9) Piccolo - mikròs – i – o.










XXI Domenica del T.O. – anno A
Leggi Mt 16, 13-20
IL VANGELO ECCLESIASTICO

vv. 13-16: questa è la professione di fede di Pietro nella messianicità di Gesù nel mistero della Croce.
Matteo non si preoccupa del mistero graduale della fede dei discepoli e delle folle. Egli utilizza la confessione di Pietro per riportare il testo di somma importanza per il Vangelo Ecclesiastico della presenza di Cristo nel primato di Pietro.
V. 13 – Cesarea di Filippo: la città situata a circa quaranta chilometri a Nord di Tiberiade nei pressi dei Dan, fu costituita dal tetrarca Erode Filippo verso il 2 a.C. e chiamata Cesarea in onore di Cesare Augusto.
Il Figlio dell’Uomo: l’espressione sostituisce il pronome “Io” come appare chiaramente negli altri sinottici, Marco e Luca. Sostituito dal pronome personale con l’appellativo il Figlio dell’Uomo, misteriosa designazione del Messia divino-umano derivante dalla celebre visione danielitica (Dn 7,13-14), Matteo anticipa nella domanda di Gesù la risposta dei discepoli.
V. 14 – Giovanni il Battista: è l’opinione d’Erode Antipa in 14,2 (Elia).
In certi ambienti l’aspettativa messianica si prospettava nel profeta Elia quale messaggero del gran giorno di Jhavè (Ml 3,23). Geremia: è il campione d’Israele in tempi di crisi nazionale; quello che ama i fratelli e intercede per il popolo e alla Città Santa secondo Mc 15,14.
V. 16: Il Figlio del Dio vivente: un’espressione simile accompagnata dall’appellativo “Il Cristo”, ritornerà sulla bocca di Caifa nella notte del processo davanti al sinedrio: essa manca in Mc e in LC. Gli esegeti moderni sono inclini a scorgervi un’esplicitazione fatta dall’evangelista (Cfr. 14,33) della fede degli apostoli nella divina filiazione di Gesù Cristo, diventata consapevole e chiara solo dopo la risurrezione e la Pentecoste.
Solo Matteo parla dei poteri Ecclesiastici di Pietro. Pietro è stato investito da un potere divino, vitale alla comprensione del popolo. È la riflessione della Chiesa primitiva orientato dal semitismo (ovvero la carne e il sangue, le porte degli inferi, legare e sciogliere) che ne assicura la più alta antichità; G.C. fa due affermazione vitali:
I. Su Pietro, roccia e appoggio della Chiesa;
II. L’edificio Chiesa che è Cristo;

il male e la morte non hanno potere sulla Chiesa, mai, in nessun caso.
Come scrive il Prologo del vangelo di Giovanni che al v. 13, dice le stesse parole (ipsissima verba Christi) riferite da Gesù a Pietro, i quali “non da potere di sangue, né da volere di carne né di uomo… ma da Dio sono stati generati.
Pietro emerge nel gruppo dei discepoli alla sequela di Gesù. Anche la Chiesa ha il suo cuore pulsante, rispecchiato in Pietro.
Pietro è il primo degli Apostoli ( - PROTOS) (10,2). È vicino al Maestro al Tabor.
Pietro, Giacomo e Giovanni sono i cardini della Chiesa e sono i testimoni più qualificati della Risurrezione.
• Elia corrisponde a Giovanni – in quanto proto – teologo e di conseguenza profeta in nome di Dio;
• Gesù a Pietro – in quanto Vicario di Cristo e Capo della Chiesa universale, per quanto suo indegno successore;
• Mosè a Giacomo – in quanto figlio del tuono e quindi adatto a portare la parola della legge.

Sono presenti nella casa di Giovanni (MC 5,37), nel Getsemani (26,31), quando Gesù lascia Nazareth a Cafarnao, nella casa di Pietro, dimora di Gesù. Portavoce alla professione di fede messianica (16,16). A Cafarnao (GV 6,68) il Pane Vivo, nel mezzo della risurrezione (Mc 16,7). Gesù dopo la risurrezione, si manifesta prima a Piretro (Lc 24,34 e 1 Cor 15,15)=. È eletto direttamente dal Cristo… (Gv 21, 15-17) = Ha conferito a Pietro la pienezza dello amore. Pietro è la roccia della Chiesa, sulla salvezza, sull’incredulità.
Questa Chiesa, roccia della salvezza incrollabile, in Jhavè, luce di salvezza (Sal 18,3).
È la roccia che funge da PIETRA ANGOLARE (21,42) su cui sorge il nuovo Tempio, la case dell’assemblea di Dio.
17: Figlio di Giona:
Gesù si paragona a Giona che rimase tre giorni nel ventre di una balena. Collodi, l’autore di Pinocchio, utilizza lo stesso termine di paragone, così ritroviamo i personaggi Geppo e Pinocchio nel ventre della balena che rappresentano tutti i catecumeni.
Carne e sangue sono tutto l’uomo con (e lo diciamo con Sant’Ignazio) la sua intelligenza, volontà, intuizioni, affetti, passioni, ecc., cose tutte che, se restituite a Dio, sono e diventano buone.
PIETRO…PIETRA (gr. PETROS): alcuni documenti antichi non utilizzano il termine Pietra: tali testi erano in voga all’epoca.
In Aramaico Kefà, come nome di persona dovrà concludere che è stato coniato (neologismo) da Gesù per designare l’ufficio petrino di ROCCIA; questo ufficio è dato al Principe Apostolorum. L’appellativo gli viene dato direttamente da Gesù. Paolo chiama Pietro quasi esclusivamente con l’appellativo dell’Aramaico “kefà” (Cfr. Gv 1,42); l’imposizione di un nume nuovo da parte di Dio è, nella tradizione biblica, simbolo ed espressione della particolare missione a cui l’uomo è chiamato; tale il caso di Abramo (Gen 17,5), di Giacobbe (Gen 32,29), di Gedeone (Ged 6,7), di Maria (Lc 1,28).
- EDIFICHERÒ: l’immagine dell’edificio spirituale costruito sulla roccia ricorre in un Inno della comunità di Qumran (1Qh. 6,26-27), in cui si legge: “Tu, (o Dio) porrai la fondazione sulla roccia… per costruirvi un edificio solido che non possa crollare. E nessuno di quelli che vi abita vacillerà, perché nessun estraneo vi potrà entrare”. L’immagine della roccia, della roccia riferita a Dio, quale sicuro sostegno del Popolo eletto e di tutti i tribolati che confidano in Lui; questa immagine é ricorrente all’A.T. (Cfr. 1Sam 2,2; 2Sam 22,2-3; Sal 18,3; 19,15; Is 17,10, ecc.).

Nel N.T. si trova più volte riferita a Cristo l’origine veterotestamentario della Pietra Angolare (Cfr. At 4,11; Rm 9,33; 15,20; 1 Cor 3,10 e 1Pt 2,47).

La mia Chiesa: “Chiesa in greco Ekklesia - ”, termine comune degli scritti apostolico; ricorre nel Vangelo sono in Matteo, nel Vangelo Ecclesiastico precisamente in 18,17.
Ekklesia di cui Chiesa è il ricalco che designava nel Mondo greco profano l’assemblea del popolo, cioè del popolo democratico, inteso come forza politica. Il vocabolo fu adottato dalla versione greca dei LXX, per tradurre il termine ebraico QAHAL, usato in modo particolare dalla corrente deuteronomistica per designare l’assemblea religiosa dalla comunità di Jhavè (Dt 23) ma accanto a Ekklesia i LXX usavano anche la parola sinagoghé (da cui sinagoga) con la quale traducevano per lo più il vocabolo ebraico di EDAH, usato in modo particolare nella tradizione sacerdotale per designare la stessa realtà. A tempo di Gesù i vocaboli ebraici QUADASH ed ADASH solo più tardi, quando i cristiani si appropriarono il 1° vocabolo e lasciarono al giudaismo il 2° vocabolo, il termine designò entità diverse. Al movimento suscitato alla sua predicazione, Gesù vuol dare una struttura che sia in linea con le Istituzioni veterotestamentarie; per questo gli diede il nome biblico di comunità, di assemblea di nominati (convocati; Ekklesia deriva da chiamare/convocare, della divina chiamata che realizza la Klete agaia, la miqraquodes (Cfr. Is 12,16 e Lv 23,3) dei tempi messianici. Essa è detta del Cristo come quella antica era detta di Dio (Ekklesia tu teu – ); anche gli Esseni (Qumran) amavano chiamarsi la “chiesa della Nuova Alleanza”.
- le porte degli inferi… “Inferi” traduce il termine greco che e a sua volta rende il termine ebraico di Sceol, ben noto in tutte le pagine dell’Antico Testamento; l’ADE è l’aldilà, cioè il REGNO dei morti. Nel N.T. esso rappresenta il contro regno della Vita. Gesù assicura che la sua Chiesa non fallirà mai. Tale è il senso di porte nel linguaggio biblico originale, cioè essa rimarrà nella Vita e portatrice di vita. Vicino al nostro passo per fraseologia e contenuto è Is 28, 16-17: “Ecco, io pongo in Sion una pietra per fondamento, pietra scelta, angolare, preziosa; chi avrà fiducia in essa non vacillerà… verrà distrutto i vostro patto con la morte e alla vostra alleanza con lo Sceol, non reggerà”.
19 LE CHIAVI (Gr. DESEO)…Qui la metafora cambia; prima si parlava di Pietro come fondamento dell’edificio, ora si parla di lui come sovrintendente, maggiordomo del Regno dei Cieli. Nell’Apocalisse Gesù Cristo ci presenta in possesso della chiave degli inferi (Ap 1,18) simbolo della podestà che egli esercita sia sul Regno della Morte sia sul quello della vita; Gesù trasferisce la stessa potestà a Pietro, il quale la esercita in vista dell’accesso e degli uomini nel Regno di Dio, come giudizio. Il simbolismo delle consegne delle chiavi come trasmissioni di poteri è bene illustrato dal vaticinio di Isaia riguardante Eliakim, maggiordomo della dinastia davidica al tempo del Re Ezezhia: “Io chiamerò il mio servo Eliakim figlio di Chelkia… metterò la tua (del Re Ezechia) autorità nelle sue mani, ed egli sarà padre per gli abitanti di Gerusalemme e per la casa di Giuda. Metterò sulle sue spalle al chiave della casa di Davide; Egli aprirà e nessuno chiuderà; Chiederà e nessun aprirà” (is 22, 20-22), testo interpretato in senso messianico e applicato in Ap. 3,17 al Cristo, detentore della Chiave di Davide . Secondo l’Apocalisse di Baruc (10,18) ai sacerdoti, in quanto amministratori della casa del Signore, sono consegnate le sue chiavi
– LEGATO…SCIOLTO ; LUSEO e LELEUMENON – legare e sciogliere sono termini tecnici del linguaggio giuridico del tempo; significano rispettivamente condannare e assolvere, come anche dichiarare una cosa vietato o lecita. La potestà di Gesù conferisce a Pietro il potere disciplinare di ammettere o estrudere dalla Casa di Dio, come anche di impartire disposizioni obbliganti nel campo della fede e dei costumi. In 18,18 una simile po9testò viene riconosciuta da Cristo agli altri apostoli.
NEI CIELI -  URANOIS: l’espressione, interpretata in ambiente semitico, vuol dire probabilmente da Dio.
V. 20-23: la prima volta che Gesù parla della passione fa scandalizzare Pietro a Cesarea di Filippo: si tratta di una svolta riguardo alla fede degli Apostoli. Sulla fede in Gesù Cristo Messia, poco prima professata per bocca di Pietro, si doveva innestare la fede in Gesù Servo di Dio (sofferente), fede questa ultima più difficile da mettere in pratica perché complesse erano le menti giudaiche e così gli Apostoli non si smentivano come veri giudei.
V. 20 – POI COMANDÒ DIESTEILATO -: è ripresa la narrazione interrotta dopo il versetto 16. Gesù, ora che la fede messianica dei discepoli è giunta a maturazione, vuole che essa non si confonda con le grossolane attese o idee del messianismo popolare.

APPENDICE (da Liturgia delle Ore – rito romano – dal 30 aprile 2007).
Sant’Agostino afferma: “Pietro, infatti, in quanto persona e in quanto considerato sul piano della specie umana era ben sì un solo uomo, sul piano della grazia era certo un cristiano solo, sul piano superiore di grazia poi, egli era l’unico e medesimo Principe degli Apostoli. Pur tuttavia rappresentava la Chiesa universale.
Gesù dunque volle dire: sulla pietra che fu oggetto della tua professione di fede, io edificherò la mia Chiesa. Quella pietra era Cristo (Cfr. 1Cor 10,4). Sopra questo fondamento fu edificato anche Pietro (Dio incise con caratteri di fuoco, le medesime parole incise su Pietro, come (pietra miliare della Chiesa). “Infatti, nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova che è Gesù Cristo (1Cor 3,11)”
Dunque la Chiesa che è fondata in Cristo, ricevete da lui nella persona di Pietro le Chiavi del Regno dei cieli, cioè la potestà di sciogliere e legare i peccati e questa Chiesa ama e segue Cristo e per questo viene liberata dai mali. La Chiesa segue Cristo in modo speciale nella persona di chi lotta per la verità fino all’ultimo.
Allegato all’appendice
Chiave:
Le civiltà urbane dell’oriente conobbero molto presto chiavistelli di legno e di bronzo per chiudere le porte.
Nell’opera gnostica pistis sophia la chiave ha la funzione d’immagine linguistica dei misteri che aprono il cielo agli iniziati. La consegna delle chiavi di una casa appena costruita o di una città conquistata è espressione della consegna del possesso e del potere.
Nell’ira Dio può dimenticare la misericordia e chiudere il suo cuore (Sal 77,10); è ovvio che Dio può chiudere anche i cieli così che non cada più pioggia (Dt 11,17).
Eliakim, gradito da Dio, viene chiamato a divenire maggiordomo del Re: “sarà un padre per gli abitanti di Gerusalemme e per il casato di Giuda: gli porrò sulle spalle la chiave della casa di Davide. Le chiavi del Regno dei cieli significano il potere supremo nelle questioni relative al Regno di Dio. La chiave può diventare anche immagine dell’apertura ai beni spirituali; così Gesù gridò agli Scribi: “Guai a voi, Dottori della Legge, che avete tolto la chiave della Scienza (LC 11,52). La frase significa che così hanno tenuto chiusa la porta verso la vera conoscenza di Dio. Dio può aprire anche gli inferi; al suono della Quinta tromba Giovanni vide: “Un astro caduto dal cielo sulle terra. Gli fu data la chiave del pozzo dell’Abisso” (Ap 9,1).
A partire dal V secolo, la consegna delle chiavi a Pietro viene rappresentato sui sarcofaghi e sui mosaici.
Nello stemma dello Stato Pontificio, risultano impresse due chiavi incrociate. Sarà un caso? È una realtà evangelica?…
Lea virtù teologale della fede può avere contribuito ad una chiave che allude alla sua fedeltà.
 
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Anno Formativo 2007/08 – I parte



Avere lo Spirito del Signore
Riflessione tratta dal testo di formazione di Padre Cesare Vaiani, La Via di Francesco









Settembre 2007
A cura di Massimiliano e Anita, OFS
1

Note sul testo di cui tocca l’apertura a me ed Anita:
(Generalità sull’Autore:
P. Cesare Vaiani è Laureato in Filosofia e Licenziato in Teologia; insegna Teologia Spirituale in varie facoltà. Nonostante ciò è di una chiarezza estrema.2.)
Il testo su cui opereremo in questa prima parte di anno formativo 2007/08 è una sintesi composta di pochi punti che ci danno le coordinate utili anche per affrontare altre tematiche; tutto questo insieme organico è una spiritualità.
Per capire (almeno a livello iniziale che cos’è una spiritualità) è bene citare Giovanni Moioli3: “Le diverse spiritualità sono “particolari maniere di sintetizzare vitalmente i valori cristiani, secondo diversità di punti prospettici o di catalizzazione”.
Possiamo desumere che una lettura essenziale degli Scritti rivela una straordinaria coerenza intorno a questi temi, che risultano essere centrali nell’esperienza del Santo d’Assisi e che si rivelano fondanti per qualunque spiritualità che voglia dirsi davvero francescana. Bisogna inoltre tener conto che il nostro Francesco non propone dottrine spirituali, perché si ritiene “ignorante ed illetterato”; tuttavia, recenti studi rivelano un’immagine più attenta e fedele a quanto Francesco ci ha consegnato nei suoi Scritti, là dove egli ci appare un vero “maestro” non solo per il suo esempio, ma anche per un insegnamento preciso e coerente.


Ora veniamo al nostro tema:

Avere lo Spirito del Signore

Padre K. Esser in uno dei suoi ultimi studi afferma: “Non si tratta in san Francesco soltanto di una sequela esterna della vita di Cristo, ma prima di tutto che nel seguace di Cristo diventi vivo e attivo anche lo Spirito di Cristo. Questa dottrina sullo Spirito del Signore (Spiritus Domini) … si può chiamare lo stesso centro del pensiero e della condotta cristiana di san Francesco. Di lui parla sempre nelle sue Regole e Lettere, nelle sue Ammonizioni per i frati”.
La caratteristica comune di tali studi è che si basano fondamentalmente sugli Scritti, dove la parola Spiritus assume una notevole rilevanza; il tema proposto dal Dizionario francescano, risulta dall'analisi testuale degli Scritti di Francesco:
(a)Dio è Spirito;
(b)Spirito santo;
(c)Spirito Santo e inabitazione trinitaria;
(d)Spirito del Signore;
(e)Carità e obbedienza di spirito;
(f)Spirito e Lettera;
(g)Spirito e vita;
(h)Spirito e carne;
(i)Spirito e verità;
(j)Spirituale, spiritualmente;
(k)Spirito santo e Maria.
Da questo studio emerge anche che è evidente come Francesco non sempre distingua bene, parlando di Spirito (e di Signore), di quale persona in concreto si tratti: se di Dio in genere, o di Dio Padre, o del Figlio Gesù Cristo, o dello Spirito santo.
Resta comunque vero che molti testi di Francesco sopportano bene, o addirittura richiedono, una interpretazione “forte” del termine Spiritus in riferimento allo Spirito Santo. D'altra parte la stessa spiritualità cristiana generale non intende la “spiritualità” come un semplice riferimento all'interiorità dell'uomo, quasi che “spirituale” sia semplicemente l'opposto di “materiale” o sinonimo di “interiore” e “profondo”, ma che vi riconosce un ineliminabile riferimento allo Spirito santo e alla sua azione di grazia.
Nota: I codici medievali sono del tutto irregolari nell’uso delle maiuscole nel corpo del testo, ed è una scelta dell’editore a determinare se il testo parla di spirito o di Spirito con la maiuscola.

Il cristocentrismo trinitario

Per indagare il significato “Spirito del Signore” è opportuno ancora una volta partire dagli Scritti: in loro emerge il “cristocentrismo” francescano e da tale aspetto troviamo il tema dello “Spirito del Signore”. Tale prospettiva la troviamo nella lettera a tutto l’ordine:
“Onnipotente, eterno, giusto e misericordioso Iddio, concedi a noi miseri di fare, per la forza del tuo amore, ciò che sappiamo che tu vuoi, e di volere sempre ciò che a te piace, affinché, interiormente purificati, interiormente illuminati e accesi dal fuoco dello Spirito santo, possiamo seguire le orme del tuo Figlio diletto, il Signore nostro Gesù Cristo, e con l’aiuto della tua sola grazia giungere a te, o Altissimo, che nella Trinità perfetta e nella unità semplice vivi e regni glorioso, Dio onnipotente per tutti i secoli dei secoli. Amen”.
Questa breve e densa preghiera di san Francesco prospetta in chiave trinitaria tutto l’itinerario spirituale del cristiano, che parte dall’azione dello Spirito, trova il suo centro nella sequela di Cristo e giunge così ad aprirsi filialmente sull’orizzonte del Padre.
Si dice spesso che la spiritualità di Francesco è Cristocentrica. È vero. Ma non è pan-cristitica, ovvero Cristo è il tutto (giusto da un certo punto di vista) e Padre e Spirito Santo non verrebbero considerati in tale logica. Egli vede Cristo nella realtà: l’unico Mediatore tra gli uomini e il Padre. Per Francesco tale logica parte dallo Spirito Santo e si orienta verso il Padre (Van Khanh4).

IL RUOLO DELLO SPIRITO

L'Ammonizione 1 è dedicata a “conoscere” il Signore; l'affidamento è, però allo Spirito, il quale ha il compito di farci passare dal semplice “vedere” al “vedere e credere” in Lui.
“Perciò tutti coloro che videro il Signore Gesù secondo l'umanità, ma non videro né credettero, secondo lo Spirito e la divinità, che egli è il vero Figlio di Dio, sono condannati”.
Culmine di tale riconoscimento è riconoscere e ricevere come tale il corpo eucaristico di Cristo:
“Per cui lo Spirito del Signore, che abita nei suoi fedeli, è lui che riceve il santissimo corpo e sangue del Signore. Tutti gli altri, che non partecipano dello stesso Spirito e presumono ricevere il santissimo corpo e sangue del Signore, mangiano e bevono la loro condanna”5. L'ultimo pensiero é tratto da San Paolo.

LO SPIRITO CI RENDE DIMORA DI DIO
Come?

“...sono beati e benedetti quelli e quelle, quando fanno tali cose e perseverano in esse: perché riposerà su di essi lo Spirito del Signore e farà presso di loro la sua abitazione e dimora...”
“Siamo i suoi fratelli, quando facciamo la volontà del Padre che è nei cieli. Siamo madri, quando lo portiamo nel cuore e nel corpo nostro per mezzo del divino amore e della pura e sincera coscienza, lo generiamo attraverso le opere sante, che devono risplendere agli altri in esempio”6.
Dopo la lettura di questi testi possiamo notare due concetti:
A)La descrizione di una vera e propria “inabitazione trinitaria”, concetto che da solo meriterebbe una riflessione approfondita7;
B)Il ruolo dello Spirito nel far di noi la “abitazione e dimora” del Dio trinitario.

SPIRITO DEL SIGNORE E SPIRITO DELLA CARNE

Il secondo è inteso come vana gloria: “...noi tutti frati guardiamoci da ogni superbia e vana gloria; e difendiamoci dalla sapienza di questo mondo e dalla prudenza della carne”.
E inoltre (questa frase è un'ammonizione personale per il sottoscritto) “Lo spirito della carne, infatti, vuole e si preoccupa molto di possedere parole...”
“...Lo Spirito del Signore invece vuole che la carne sia mortificata e disprezzata, vile e abbietta, e ricerca l'umiltà e la pazienza e la pura e semplice vera pace dello spirito; e sempre desidera soprattutto il divino timore e la divina sapienza e il divino amore del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (tale frase è da meditare ma non deve essere interpretata letteralmente; la carne mortificata e disprezzata è un tipico esempio di mentalità medievale che, santi o meno, influenzava tutti. Noi oggi siamo influenzati dalla cultura del Post-Moderno e Mass – mediatica... il regresso...).
Ancora una volta lo Spirito del Signore porta ad affermare la centralità di Cristo in un contesto trinitario... Gesù Cristo è riconosciuto dallo Spirito come il Figlio del Padre.

II. Spirito del signore e paternità di Dio

Leggendo la Lettera ai Romani possiamo trovare uno spunto per la nostra riflessione. Romani 8,15-16 afferma: “Avete ricevuto uno Spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo “Abbà, Padre!”. Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio”.
Questa consapevolezza d’essere figlio di Dio, in quanto animato dallo Spirito del Figlio, conduce Francesco a far spesso risuonare le parole della “preghiera sacerdotale” di Gesù e a rivolgersi al Padre col Figlio e nel Figlio: è anche questo il senso dell’inserimento di gran parte del testo delal “preghiera sacerdotale” nella Regola non bollata8.
Il medesimo capitolo 17 del vangelo di Giovanni viene citato, in forma più concisa, nelle due redazioni della Lettera a tutti i fedeli, dove tale citazione esplicita e sviluppa proprio il tema dell’avere lo spirito del Signore che viene affermato poco prima.
Riguardo a Giovanni 17 vorrei citare una frase che richiama all’avere lo Spirito del Signore: “l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e in loro” (17,20b); l’amore personifica lo Spirito Santo e anche lo stesso Dio che è amore. Tuttavia si tratta della stessa persona e nella fattispecie lo Spirito.

La preghiera cristiana

Ci troviamo così al cuore del mistero della preghiera cristiana, che precisamente preghiera fatta “per Cristo, con Cristo e in Cristo” e che sa di trarre la propria efficacia proprio da tale identificazione con Gesù, mediatore perfetto e unico sommo sacerdote.



Padre Nostro

I racconti biografici ci confermano che l’esperienza della paternità di Dio è un tema importante nel cammino spirituale di Francesco, fin dalla spogliazione e rinuncia ai beni paterni, davanti al vescovo d’Assisi, quando Francesco affermò: “D’ora in poi potrò dire liberamente Padre nostro che sei nei cieli e non Padre, Pietro di Bernardone”.

iii. le sante parole sono spirito e vita

In FF 61 si afferma: “Le parole del Signore nostro Gesù Cristo, che è il Verbo del Padre, e le parole dello Spirito Santo, che sono spirito e vita”.
Queste stesse sono “le parole” che Francesco riconosce annunciate dai:
“teologi e coloro che ci annunziano la parola divina, così come coloro che ci danno lo spirito e la vita”9.
Ritorna costantemente in questi testi l’eco di un’espressione giovannea che ha fortemente colpito Francesco: “È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita”10.

Lo spirito della divina lettera
“Dice l’Apostolo: “La lettera uccide, lo spirito invece dà vita”.

Francesco non contrappone, come potrebbe parere superficialmente, la lettera e lo spirito: contrappone piuttosto la “lettera” allo “spirito della divina lettera”.
Va notato che in entrambi i casi la lettera rimane, come punto di riferimento essenziale e impreteribile: la differenza non sta nel riferirsi alla lettera (della quale non si può fare a mento, se si è cristiani e ci si riferisce dunque al Vangelo del Signore), ma nella capacità di riferirsi allo spirito della divina lettera, quello spirito che pensiamo essere lo stesso Spirito santo.
Il Concilio Vaticano II afferma: “La Sacra Scrittura deve essere letta e interpretata con l’aiuto dello stesso Spirito mediante il quel è stata scritta”.11





Osservare il santo vangelo

“La vita e la regola dei frati minori è questa: osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità” (i consigli evangelici sono da seguire con modalità diversa da parte degli aderenti all’OFS).
Importante, a tal proposito (ed è un compito che vi do) la lettura del Vangelo di Giovanni, voluta tra l’altro da Francesco prima di morire, quasi a conformare che i suoi estremi momenti a quelle parole che danno Spirito e vita12.

iv. lo spirito del signore e la sua santa operazione

“E coloro che non sanno di lettere13, non si curino di apprenderle, ma facciano attenzione che ciò che devono desiderare sopra ogni cosa è di avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione, di pregarlo sempre con cuore puro e di avere umiltà, pazienza nella persecuzione e nella infermità , ed di amare quelli che ci perseguitano e ci riprendono e ci calunniano, poiché dice il Signore: “Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano e vi calunniano; beati quelli che sopportano persecuzione a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. E chi persevererà fino alla fine, questi sarà salvo”.
Ritroviamo qui la contrapposizione tra coloro che parlano soltanto e coloro che operano, e che costituisce una costante preoccupazione di Francesco (dato che l’Ozio di coloro che si occupavano di faccende ‘intellettuali’ si contrapponeva al lavoro; più avanti, come è spiegato in nota, anche l’atteggiamento dello stesso Francesco cambiò – ripeto le delucidazioni a riguardo in nota 13; tempo permettendo credo che valga la pena di leggerla), consapevole di tale rischio per sé e per i suoi frati:
“Lo spirito della carne, infatti, vuole e si preoccupa molto di possedere parole, ma poco di attuarle…”14.
Con la “santa operazione” siamo dunque condotti ad evidenziare l’effetto che lo Spirito produce nell’uomo.

II parte
a cura di Anita

Lo Spirito del Signore
riflessione

Leggendo il bellissimo libro di Cesare Vaiani, mi è venuto il desiderio di condividerne con voi alcuni brani con le mie personali impressioni.
Un servo di Dio viene riconosciuto come tale se possiede lo Spirito del Signore: Quando il Signore compie per mezzo di lui qualcosa di buono, la sua carne è spesso contraria ad ogni bene, cosicché si ritiene ancora più vile ai propri occhi e si stima più piccolo di tutti gli altri uomini.
Nel testo dell'Ammonizione 12, intitolato “Come crescere nello Spirito del Signore”, San Francesco afferma: “E restituiamo al Signore Dio Altissimo e Sommo bene tutti i beni e riconosciamo che tutti i beni sono suoi e procedono tutti da Lui benché uno è ogni bene ed Egli solo è buono”.
Sempre inerente a questo argomento, mi resi conto, conversando con Suor Francesca presso il Convento di Roasio, di avere udito le stesse cose.
Il nostro Cesare Vaiani ci dice ancora che è peccato grave appropriarsi dei doni che Dio fa alle sue creature, cioè è necessario cambiare la mentalità attuale con quella del “senza nulla di proprio”. La radice del peccato, sta nella bramosia del possesso, senza conoscere che in realtà noi, non abbiamo portato nulla in questo mondo e nemmeno porteremo nell'altro.
Personalmente credo che sarebbe necessario ricordare questo insegnamento più spesso e anche più volte nell'arco della giornata, in modo tale da poter essere liberi da tanti problemi, fobie, paranoie che ordinariamente ci creiamo, io per prima.
Sarebbe grave errore, ancora, turbarsi più di tanto per le colpe di un altro; questi tali sono considerati da San Francesco oppressi da un “sentimento di appropriazione”. Egli ci sconsiglia di renderci giudici o in un certo senso “padroni” del proprio fratello, perché il suo atteggiamento peccaminoso non è sotto la nostra tutela o peggio competenza, per cui lungi da noi dal sentirci offesi, adirati, turbati perché non si comporta come noi vorremmo.
E ancora San Francesco ci esorta a non pretendere che i peccatori incalliti diventino cristiani migliori… Ciò non significa disinteressarci dell’altro, ma piuttosto cercare di redimerlo amorevolmente nel nome del Signore; ecco che cosa afferma: “Veramente ama il suo nemico colui che non si duole per l’ingiuria che quegli gi fa, ma brucia nel suo intimo per l’amore di Dio a motivo del peccato dell’anima di lui. Egli dimostra con le opere il suo amore”.
Il nostro caro Pontefice Benedetto XVI a proposito dell’egoismo afferma: “L’egoismo è una tendenza naturale e presente di per sé nell’uomo, ma non equivale affatto all’accettazione di sé. In primo luogo l’egoismo va superato e in secondo luogo va cercata l’accettazione di sé. Sicuramente fra gli errori più pericolosi dei pedagogisti e dei moralisti sarebbe quello di scambiare non di rado i due aspetti, bandendo il sì verso se stessi e rafforzando ancora di più l’egoismo come vendetta del se negato” (Papa Ratzinger).
A questo punto concludo dandovi un compito: cari fratelli e sorelle, vi consiglio di leggere l’intero testo di Cesare Vaiani; ne vale la pena.
Anita








INCONTRI FORMATIVI
Anno 2007/2008




Restituzione


A confronto con “La via di Francesco”
di Cesare Vaiani




Novembre 2007
a cura di Gianfranco, Antonella, Alberto, ofs









“E restituiamo al Signore Dio Altissimo e sommo tutti i beni e riconosciamo che tutti i beni sono suoi e di tutti rendiamogli grazie perché procedono tutti da lui” (Rnb 17, 14-16)

Non riconosciamo che ce li ha dati ma che sono suoi

Si tratta di una catena che prende l’avvio dal “conoscere”, passa attraverso la “riconoscenza” e giunge così alla restituzione.

Conoscere? Compito decisamente arduo. La scelta fondamentale l’abbiamo fatta, e quindi la sete di conoscere il “segreto della felicità” ci spinge a cercare sapere sempre di più… ma come siamo indietro…

Riconoscenza: gratitudine o ammissione? Ammissione, però poi tutti rendiamogli grazie

Restituzione:non è che lui mi ha dato e allora anche io gli devo qualcosa in cambio; gli do indietro ciò che è suo (tutto è suo!); in fondo è una questione di giustizia.


LA RESTITUZIONE A PAROLE

“… restituiscono, con la parola…, all’Altissimo Signore Dio, al quale appartiene ogni bene” (Am 7, 4)

…le preghiere di Francesco che ci sono state conservate ci permettono di individuare nella lode e nel rendimento di grazie la forma tipica della sua preghiera.

Lode e rendimento di grazie sono il riconoscimento che tutto ciò che è bello e positivo “de Te Altissimo porta significazione”; io faccio fatica a vedere la cosa come restituzione; sento di non avere nessun diritto su ciò che contemplo, figuriamoci se posso “prenderlo in mano” e restituirlo…

…la preghiera…: essa pure è un beneficio ricevuto da Dio.

Ecco! Qui mi ritrovo (mi sento una figlia viziata): la consolazione nella preghiera (“io te la restituisco affinché tu ME la metta in serbo” – mi servirà sicuramente ancora – “perché io sono un ladro del tuo tesoro”. (2Cel 99)

Anche la penitenza diventa lode

“Di coloro che fanno penitenza. …e fanno frutti degni di penitenza” (1Lf 1-19)
Frutti degni / di penitenza o frutti / degni di penitenza? Mi piace pensare la seconda, come se lo “stato di penitenza” fosse un dono della grazia di Dio, che così “farà presso di loro la sua abitazione e dimora”…beati loro! (lode).
Ho parlato di “stato di penitenza” perché in realtà mi sfugge un po’ il significato della parola penitenza calata nel suo contesto storico.

Accanto alla lode, la restituzione a parole si realizza attraverso l’esortazione e la predicazione.

La predica agli uccelli: il racconto parte dal dissidio che tormenta Francesco, indeciso se dedicarsi solo alla contemplazione o anche alla predicazione.

Francesco predica agli uccelli che per loro propria natura sono fatti per cantare la lode (“voi siete molto tenute a Dio vostro creatore e sempre e in ogni luogo il dovete laudare”); visto che gli uccelli non sanno fare molto altro che cantare, la predicazione, secondo me, qui non ha altro scopo che l’indurre alla lode; e poi sanno anche volare (“ancora gli siete tenute per lo elemento dell’aria che egli ha deputato a voi”), quindi a maggior ragione possono lodare ovunque nel mondo, dall’alto.


LA RESTITUZIONE IN OPERE

“… restituiscono, …con l’esempio, all’Altissimo Signore Dio, al quale appartiene ogni bene” (Am 7, 4)

“E a tutti i miei frati, chierici e laici, comando fermamente, per obbedienza, che non inseriscano spiegazioni nella Regola…” (2Test 38-39).

Il rischio dei commenti e delle spiegazioni sta nella possibilità di farsene un alibi per sfuggire all’impegno di mettere in pratica quanto si è inteso,

o, aggiungo io, di crogiolarsi in esercizi di logica e di filosofia seduti davanti al proprio computer, come sto facendo io ora, io che oggi pomeriggio ho inveito animosamente, esasperata, contro un mio collega…

“Siamo madri quando lo portiamo nel cuore e nel corpo nostro, lo generiamo attraverso le opere sante, che devono risplendere agli altri come esempio” (1Lf 5-10)

forse lo sforzo mentale che ci viene richiesto è quello di trovare le vie per generarlo, per non farlo cadere quando esce, per capire quando è il tempo e il luogo giusto perché qualcuno noti il Suo splendore. Tra l’altro l’immagine del parto evoca l’idea della fisicità estrema di questo tipo di restituzione (“lo portiamo .. nel corpo nostro”), dando una densità, un peso e una contingenza al nostro agire: non ci sono scappatoie.

“Fratello, dobbiamo restituire il mantello a questo poveretto , perché è suo. Noi l’abbiamo ricevuto in prestito sino a quando non ci capitasse di incontrare uno più povero” (2Cel 87)

l’ “attività assistenziale” di Francesco non manifesta tanto una scelta di carità per i poveri; egli è provocato dalla condizione di chi è più povero di lui, sentendo di dover restituire per non essere ladro.

Una sorta di principio dei vasi comunicanti, si riempie sempre il vaso che ha meno liquido…La povertà negativa, quella di chi è in una situazione di bisogno, si sana; chi è diventato un po’ più povero, invece, riesce a restituire.
In questa logica chi ha più diritti è il povero.
La nostra logica qual è?
Che effetti avrebbe, nella mia vita:
inserire nel cassonetto della Caritas il mio paio di scarpe preferito, nuovo fiammante, invece di quello un po’ logoro e non più di moda? (e pensare che Francesco di mantello aveva solo quello).
accettare allegramente di pagare più tasse affinché anche i pensionati possano arrivare con dignità a fine mese?
investire i miei risparmi nei certificati di deposito di Banca Etica, scegliendo un rendimento pari allo 0%, in modo che qualche povero pieno di iniziativa possa chiederli in prestito per migliorare la sua condizione? (questa non è beneficenza, è restituzione!)
e mille altre scomode verità?

Come dicevo prima non ci sono scappatoie; parliamo pure dei poveri fino a che vogliamo, guardiamoli con occhio compassionevole, facciamo le nostre offerte (non so voi: io do quasi sempre ciò che per me è superfluo), ma fino a che facciamo azioni che non modificano la nostra densità, la nostra massa e la nostra contingenza di cui parlavo prima, secondo me, siamo fuori strada. Credo che Francesco un po’ di freddo l’abbia patito, rimanendo senza mantello…



Antonella – pace e bene!

_____________


Nel passaggio dalla restituzione “a parole” ai fatti della vita concreta si entra nel difficile mondo delle contraddizioni.
Vorrei mettere in evidenza la grande responsabilità del restituire.
Quasi come nel “telefono senza fili” gioco della fanciullezza in cui la parola iniziale filtrata dai giocatori arriva alla fine del suo percorso storpiata, anche il nostro intervento nel “gioco” della restituzione ci vede responsabili della rispondenza del messaggio all’input iniziale.
L’Amore di cui siamo oggetto è il solo mezzo e fine di cui dovremmo testimoniare … ma quale difficoltà passare dalla teoria alla pratica……
…un esempio: in “buona fede” si continua a trasmettere una visione distorta del cristiano che “cerca” il dolore come mezzo per espiare colpe vere o presunte…Francesco/Cristo lungi dal “ricercare” il dolore lo accettano con la serenità di chi consapevole di essere nell’amore del Padre sa di poter contare sulla Pasqua oltre ogni contingenza (vana sarebbe la nostra fede senza la resurrezione…).
La possibilità di raggiungere uno stato di perfetta letizia è a portata di mano ma tanto difficile da raggiungere sotto la continua minaccia del quotidiano: c’è la pillola anticoncezionale, c’è la coppia di fatto, il prete sposato o peggio quello gay, l’indissolubilità del matrimonio, la violenza del volgere lo sguardo altrove quando non reggi la chiamata ad essere fratello di chi è fuori dal coro perché povero, violentato dalla insensibilità di un mondo materialista, edonista, consumista… e tu che hai “professato”la tua appartenenza, la tua scelta di adesione alla proposta di Cristo Uomo attraverso quanto ispirato dal Carisma francescano cosa puoi fare?
E’ molto coraggioso anche vivere il quotidiano in cui sei immerso accettandone la normalità ma tu hai il coraggio di Francesco?
La componente “carne” (nel suo significato più ampio) ha molta presa ! La restituzione sotto forma di adesione allo spirito francescano passa anche dal “non andare al supermercato di domenica”? Come dobbiamo interpretare Gesù oggi? Quell’”asino caduto nel pozzo di sabato “ lo lasciamo affogare ?
Talvolta penso che “lo Spirito del Signore” che S.Francesco indicava ai suoi frati andati per il mondo come “il migliore se non unico compagno di viaggio” vada in direzione opposta ai cartelli indicatori “bollati” allora che fare? Cari fratelli aiutatemi a rispondere!….


Alberto -pace e bene!













INCONTRI FORMATIVI
Anno 2007/2008





(II)

L’esperienza spirituale di Francesco
Senza nulla di proprio
(Dal testo di C. Vaiani “ la via di Francesco”)











20 ottobre 2007
a cura di Anna Maria e Rita, ofs





SENZA NULLA DI PROPRIO

“Per cui scongiuro, nella carità che è Dio, tutti i miei frati occupati nella predicazione, nell’orazione, nel lavoro, sia chierici che laici che cerchino di umiliarsi in tutte le cose, di non gloriarsi, né di godere tra sé, né esaltarsi dentro di sé delle buone parole e delle opere, anzi di nessun bene che Dio dice, o fa o opera talora in loro e per mezzo di loro…”. FF 47
“Mangia… dell’albero della scienza del bene colui che si appropria la sua volontà e si esalta per i beni che il Signore dice e opera in lui”. FF 147
Inorgoglirsi o esaltarsi di quanto il Signore opera in noi è appropriarsi di qualcosa che non ci appartiene, ma che è di Dio.
Questa “appropriazione indebita” costituisce, per Francesco, la radice di ogni peccato, è “… camminare secondo la carne e non secondo lo spirito…”. FF 17
Beato quel servo che sa riconoscere che ogni bene appartiene a Dio e non se ne appropria, ma lo restituisce “E restituiamo al Signore Dio altissimo e sommo tutti i beni e riconosciamo che tutti i beni sono suoi e di tutti rendiamogli grazie, perché procedono tutti da Lui….perché suo è ogni bene ed Egli solo è buono”. FF 49

vivere “sine proprio”
Se il peccato fondamentale consiste nell’appropriarsi di ciò che è di Dio, l’atteggiamento positivo, al contrario, è il vivere “sine proprio”, cioè “senza nulla di proprio”.
Tale espressione è usata da Francesco all’inizio delle due Regole, dove dice che la vita dei Frati minori è osservare il Vangelo, vivendo in obbedienza, “sine proprio” e in castità.
Il “sine proprio” in questo contesto rimanda all’atteggiamento di chi non si appropria di nulla in senso non solo materiale, ma con un significato molto più ampio e si esprime non solo nel rapporto con Dio, ma anche nel rapporto con i propri fratelli.

Il “sine proprio” nel rapporto con Dio
Innanzitutto è bene precisare di che cosa l’uomo può appropriarsi e gloriarsi senza incorrere nel peccato di attribuirsi qualcosa che non gli appartiene.
A questo proposito Francesco ci dice “E siamo fermamente convinti che non appartengono a noi se non i vizi e i peccati. E dobbiamo anzi godere quando siamo esposti a diverse prove e quando sosteniamo qualsiasi angustia o afflizione di anima o di corpo in questo mondo in vista della vita eterna”. FF 48
Parimenti nell’Am 5 leggiamo “…se anche tu fossi il più bello e il più ricco di tutti, e se tu operassi cose mirabili, come scacciare i demoni, tutte queste cose… non sono di tua pertinenza, ed in esse non ti puoi gloriare per niente; ma in questo possiamo gloriarci, nelle nostre infermità e nel portar sulle spalle ogni giorno la santa croce del Signore nostro Gesù Cristo”.
Il “gloriarsi”, in questo caso, significa attribuirsi qualcosa che non fa parte di noi, mentre l’attribuirsi le infermità, la croce, le prove e “qualsiasi angustia o afflizione di anima e di corpo in questo mondo”, e addirittura i vizi e i peccati sono le uniche realtà di cui possiamo essere sicuri di poterci appropriare.
Per quanto riguarda i vizi e i peccati Francesco afferma che la scelta di fare il bene porta con sé sempre un chiaro riferimento a Dio, al quale egli sa di doverla attribuire, mentre “la scelta” di fare il male non rimanda a null’altro che a me stesso e al mio egoismo.
Per quanto riguarda l’attribuirsi le infermità e la croce e addirittura il potersene gloriare, lo stesso s. Paolo ci dice:
“Mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte”.
In questo caso l’infermità, con tutto quanto è negativo, può essere considerato mio perché rivela la mia fragilità e debolezza, ma è anche motivo di gloria perché in essa si rivela la potenza di Cristo.
A parte tutto questo nulla ci appartiene, perché tutto ci viene da Dio: la salute fisica, il sapere, la vita stessa…e di tutto dobbiamo ringraziare e lodare il Signore, nonché essere pronti a restituire con gioia.

Il “sine proprio” nel rapporto con i fratelli
Il “sine proprio” con i fratelli si estende ad ogni rapporto con gli altri, e ad ogni reazione che gli altri suscitano in noi: “Al servo di Dio nessuna cosa deve dispiacere eccetto il peccato. E in qualunque modo una persona peccasse e, a motivo di tale peccato, il servo di Dio, non più guidato dalla carità, ne prendesse turbamento e ira, accumula per sè come un tesoro quella colpa. Quel servo di Dio che non si adira e non si turba per alcunché, davvero vive senza nulla di proprio. Ed egli è beato perché, rendendo a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio, non gli rimane nulla per sè”. FF 160
L’adirarsi e il turbarsi per la colpa del fratello sono considerati da Francesco una forma di appropriazione; è l’atteggiamento di chi vuol rendersi giudice, e in qualche modo “padrone”, del proprio fratello: me ne approprio perché ritengo che il suo comportamento sia di mia competenza, una cosa mia, su cui io posso esprimere il mio giudizio e addirittura sentirmi “offeso”, adirato e turbato perché l’altro non si comporta come io vorrei.
Anche invidiare il fratello è una forma di “appropriazione”:
“…Perciò, chiunque invidia il suo fratello riguardo al bene che il Signore dice e fa in lui, commette peccato di bestemmia, perché invidia lo stesso Altissimo, il quale dice e fa ogni bene”. FF 157
Come non posso appropriarmi del bene che Dio opera in me, così non posso farlo neppure di quanto egli opera nell’altro.
Pure la castità può essere letta come l’atteggiamento di chi non si appropria, neppure con lo sguardo o con il desiderio, di un’altra persona, proprio perché essa non gli appartiene.
Allora come comportarsi con il proprio fratello? Come avere verso di lui un atteggiamento veramente “sine proprio”?
Francesco stesso ce lo suggerisce “E si guardino tutti i frati, sia i ministri e i servi che gli altri, dal turbarsi e dall’adirarsi per il peccato e il male di un altro… Similmente, tutti i frati non abbiano in questo alcun potere o dominio, soprattutto fra di loro. Come dice infatti il Signore nel Vangelo: “I principi delle nazioni le signoreggiano, e i grandi esercitano il potere su di esse; non così sarà tra i frati; e chi tra loro vorrà essere maggiore, sia il loro ministro e servo; e chi tra essi è maggiore, si faccia come il minore”. FF 18-19
“E nessuno sia chiamato priore, ma tutti siano chiamati semplicemente frati minori. E l’uno lavi i piedi all’altro”. FF 23
Francesco riconosce dunque in ogni incarico della Fraternità un servizio reciproco e non un dominio, riferendosi appunto a Cristo che è stato il primo a “lavare i piedi” ai fratelli e a donare loro la propria vita, fondando in se stesso il senso del servire.
Un atteggiamento nel quale si dimostra chiaramente la capacità di un rapporto “sine proprio” con gli altri è quello dell’obbedienza. Essa viene intesa come la perfetta rinuncia a quanto si possiede, proprio per seguire liberamente Gesù: dice il Signore nel Vangelo: “Chi non avrà rinunciato a tutto ciò che possiede non può essere mio discepolo”.
Ma la vera obbedienza consiste soprattutto nell’accettazione dei propri fratelli amandoli così come sono, come un dono di Dio, senza desiderare che siano diversi.
“Io ti dico, come posso, per quel che riguarda la tua anima, che quelle cose che ti sono di impedimento nell’amare il Signore Iddio, ed ogni persona che ti sarà di ostacolo, siano frati o altri, anche se ti coprissero di battiture, tutto questo devi ritenere come una grazia. E così tu devi volere e non diversamente. E questo tieni in conto di vera obbedienza da parte del Signore Iddio e mia per te, perché io fermamente riconosco che questa è vera obbedienza. E ama coloro che agiscono con te in questo modo, e non esigere da loro altro se non ciò che il Signore darà a te. E in questo amali e non pretendere che diventino cristiani migliori”. FF 234















(A cura di Rita)
E’ una povertà dura ed esigente quella proposta da Francesco, una povertà che impone di espropriarsi non solo di tutte le cose esteriori e materiali, ma anche della propria volontà e del proprio orgoglio; impone di espropriarsi persino di ogni bene per restituirlo all’unico proprietario che è Dio. Colpisce questa povertà, ma colpisce ancor più la gioia che Francesco descrive come frutto di questa totale espropriazione: “qui è vera letizia”. È il Vangelo, notizia che riempie di gioia, tesoro trovato e per il quale vale la pena di vendere gioiosamente tutto il resto.
Il vivere “sine proprio” di Francesco fu una scelta che lo rese libero di vivere generosamente entro l'opera divina della creazione, senza pretendere di possedere alcuna persona o cosa. La dedizione di Francesco a questo stile di vita fu motivata da Cristo povero.
Dall'impegno a vivere lo spirito della minorità, dell'espropriazione radicale e dell'itineranza sulle orme di Gesù, nasce la capacità di testimoniare il valore di ogni uomo e di ogni creatura, amati dal Padre, redenti dal sangue prezioso del Figlio e abitati dallo Spirito Santo.
Per noi il vivere “sine proprio” si esprime nell’unico compito che ci è affidato, quello di togliere gli ostacoli all’efficacia della Parola e dello Spirito, perché ogni tipo di proprietà toglie spazio a Dio nel cuore e nella vita.

Il ricevere tutto genera il tutto donare, senza nulla tenere per sé, perché in tale prospettiva non c’è più posto per qualcosa di “proprio”: tutto è di Dio.

Tutto quello che abbiamo è dono del Signore, anche se nella nostra umanità crediamo che tutto ci appartenga di diritto, non solo la nostra vita, ma anche quella di coloro che condividono con noi il nostro cammino. Critichiamo, offendiamo, giudichiamo, trattiamo con impazienza… senza pensare che nel prossimo c’è Gesù. Eppure se vogliamo chiamarci cristiani e francescani dobbiamo fermarci un attimo e riflettere. Non dobbiamo avere paura di convertirci nel cuore, nell’anima, nella mente e chiedere a Dio un po’ di umiltà da praticare con i nostri fratelli.
Se restituiamo tutto al Signore, rimettiamo tutto nelle sue mani e ci abbandoniamo totalmente a Lui, acquisteremo una grande libertà. Potremo veramente volare sulle alte cime, ritrovare la pace e la gioia di vivere.
Non dobbiamo dimenticare che i nostri fratelli sono un dono di Dio e per questo motivo non ci appartengono; dobbiamo perciò avere con loro un rapporto di rispetto e di sincero amore fraterno, d’altra parte è quello che il Signore desidera da noi.

Allora camminiamo spediti seguendo le orme di Gesù, liberiamoci da ogni forma di possesso per rendere i nostri passi agili e veloci; mettiamo da parte i nostri egoismi e i nostri interessi, facciamoci servi, cominciamo a lavarci i piedi l’uno con l’altro, sempre sull’esempio di Gesù che si è fatto servo di tutti, ha spogliato se stesso, restituendo la vita al Padre, per donarsi totalmente a noi.

Un particolare Anno Sabbatico
a cura di Massimiliano Lanza
e a cura di Adriana Milanin

New york, in giro per 365 giorni vestito sempre di bianco e con la barba
lunga stile rabbino
Un anno vissuto secondo la Bibbia
L'esperimento del giornalista americano A. J. Jacobs è diventato un libro.
Successo inaspettato negli Stati Uniti


La copertina del libro
di A. J. Jacobs
(da Internet)
MILANO - Si può vivere per un anno seguendo alla lettera comandamenti e
precetti della Bibbia? Il giornalista americano A.J. Jacobs ha provato a
rispondere all'intrigante quesito e, Sacre Scritture alla mano, ha stilato
una lista di 700 regole da rispettare, che hanno occupato ben 72 pagine del
suo The Year of Living Biblically («Un anno vissuto biblicamente», in uscita
l'anno prossimo da Rizzoli), appena pubblicato da Simon & Schuster (388
pagine, 20,98 euro), dove racconta il suo bizzarro esperimento.

LOOK - Jacobs se n'è andato in giro per 365 giorni per le strade di New York
vestito sempre di bianco («Le tue vesti siano bianche in ogni tempo» -
Ecclesiale 9, 8) e con la barba lunga stile rabbino («Non taglierai ai lati
la tua barba» - Levitico 19, 27): un look da influenza quasi sicura (provare
per credere a resistere con una tunichetta di cotone a -15) e rischio
ridicolo altissimo, ma che, invece, ha fatto sentire Jacobs «leggero, felice
e puro». «Mia moglie ha accettato il progetto con un sospiro sconsolato - ha
raccontato il trentanovenne giornalista - mentre parenti e amici mi dissero
che sarei diventato un uomo primitivo o che sarei finito in qualche
monastero. Dal momento però che che sono nato in una famiglia ebrea, ma mi
considero agnostico, volevo capire se mi stavo perdendo qualcosa».

COMANDAMENTI... - Ma se, rinunciare a film, tv e foto, costruire una capanna
(ha piantato una tenda in salotto), ringraziare Dio dopo ogni pasto secondo
la dieta di Ezechiele (grano, orzo, fave, lenticchie, miglio e spelta),
distribuire soldi a vedove e orfani, non uccidere, non desiderare la donna d'altri,
rispettare il sabato (una manna dal cielo per un "workaholic", e cioò un
lavoro-dipendente come lui) e non sposare la sorella di tua moglie (la
moglie non ha sorelle) sono state prove tutto sommato facili da superare, lo
scoglio vero è stato l'ottavo comandamento, ovvero "Non dire falsa
testimonianza" che, nell'accezione più estesa (visti i tempi) si potrebbe
allargare a "non fare pettegolezzi". Una faticaccia per uno che fa il
giornalista a New York, tanto che, alla fine, per sua stessa ammissione, il
numero di bugie raccontate in un anno è stato impressionante. Come quando ha
dovuto fare credere al figlio che non potevano guardare la tv perché
l'apparecchio era rotto.

...E ALTRE REGOLE - E anche altre regole sono state di difficile
comprensione e accettazione: «Come si può evitare si sedersi dove c'è una
donna mestruata (Levitico 15, 20) - si chiede Jacobs - o lapidare chi
commette blasfemia o adulterio (Levitico 20, 27) senza rischiare di finire
nei guai?. Un giorno - racconta il giornalista -, camminando nell'Upper West
Side, ho incontrato un vecchio che mi ha raccontato di vivere nel peccato.
"Sì, ho commesso adulterio. Vuoi lapidarmi?", mi ha chiesto ironicamente. E
quando gli ho risposto che mi sarebbe piaciuto, ha minacciato di darmi un
pugno sul muso.. Allora mi sono limitato a tirare qualche ciottolo contro
una donna al parco».


SUCCESSO INASPETTATO - Negli Usa il libro sta avendo un successo
inaspettato - pari al precedente lavoro di A.J. Jacobs The Know ItAll («Il
"saputello"»), pubblicato nel 2004 dopo la lettura completa dell'Enciclopedia
Britannica - tanto che la Paramount ha appena annunciato che ne farà un
film. Tornando alla domanda iniziale e per dirla alla Jacobs, «prenderla
letteralmente non è sicuramente il miglior modo di vivere la Bibbia». Parola
di un peccatore poco virtuoso.

Simona Marchetti
20 novembre 2007(ultima modifica: 21 novembre 2007)
 
 
Storia di questo sito
Tutto partì da un'idea del responsabile del Sito nel 2004, ovvero la creazione di un Sito che rispondesse alle esigenze di tutti gli interessati alle problematiche inerenti la Filosofia e la Teologia correlate alla Storia, all'Archeologia e alle Scienze Umane. Tutto ciò è utile per confrontare anche Fede e Ragione nel contesto contemporaneo. Le esperienze del responsabile del Sito inerenti al Francescanesimo possono anche contribuire a conoscere l'ambito storico-filosofico medievale.
Attualmente stiamo lavorando sui testi biblici originali in greco e stiamo scrivendo dei commentari con dei riscontri lingustici.
Non appena saranno disponibili verranno pubblicati sul sito.
 
 
Testimonianza
OFS e Rinnovamento alla Spolina
Storia del terz’Ordine al Convento
A cura di Massimiliano Lanza ofs

Circa nel 1958, secondo le testimonianze storiche nasce nel biellese il T.O.F. (Terz’Ordine Francescano) di obbedienza cappuccina; inizialmente si inserì presso la Parrocchia di San Lorenzo in Ponderano, successivamente i Terziari si spostarono nell’allora orfanotrofio e l’Assistente spirituale fu il Padre che conosciamo ancora oggi, Padre Giovanni Musso ofm cap.; in seguito, verso la fine degli anni ’80, il Terz’Ordine Francescano, poi denominato dopo le nuove Costituzioni del ‘90 Ordine Francescano Secolare, si trasferì presso il Convento dei PP. Cappuccini alla frazione Spolina di Cossato.
Così è contenuto nella “Presentazione delle Costituzioni e loro entrata in vigore”: In data 8 settembre 1990, il segretario Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica informava “che le Costituzioni entravano in vigore in tale data e che pertanto il Capitolo Generale, da tenersi a Fatima, si sarebbe dovuto celebrare secondo le norme delle nuove Costituzioni”.
Tra la fine degli anni ’60 e inizio anni ’70 l’Europa e il mondo sono in fermento per la rivoluzione del ’68; il mondo è nel cambiamento, i giovani rifiutano autorità e di conseguenza anche la Santa Madre Chiesa (o almeno alcuni di loro). Nel 1967 nasce a Pittsburgh, capitale della Pnennsylvania (U.S.A.) il Rinnovamento nello Spirito Santo (Movimento Carismatico) e, siamo negli anni del Post-Concilio Vaticano II, anni in cui nascono numerosi Movimenti Ecclesiali e comunità.
Al Convento della Spolina si inserisce un gruppo di preghiera aderente al Movimento Carismatico il cui Assistente Spirituale fu Padre Giovanni.
Terminata questa parentesi storica veniamo a noi; se devo dare testimonianza posso dire di aver “scoperto”il Convento della Spolina nel settembre del 1992; timidamente fui portato da un amico ad uno degli incontri del Rinnovamento nello Spirito e così iniziai a conoscere questa realtà… poi non se ne parlò più per quasi un anno. Ritornai nel febbraio del 1993, anno in cui scoprii la mia attitudine ad appartenere ad un Ordine per laici… da quel momento iniziai subito a farne parte, dato che venni accettato immediatamente dal Ministro di allora, il prof. Franco Boscione. Frequentai la fraternità francescana secolare per circa due anni prima di ricevere la professione perenne. Nel 1994 venni eletto pure nel Consiglio di fraternità in qualità di Segretario. Benché avessi “cambiato” gruppo e mi fossi inserito in fraternità continuarono i rapporti con i Carismatici e ricordo anche dei momenti molto belli, soprattutto alla Convocazione Nazionale di Rimini cui partecipai il medesimo anno.
Nel 1997 fui votato nel Capitolo elettivo come Vice-ministro… nel frattempo la fraternità subì importanti sconvolgimenti e venne temporaneamente sospesa… Mi trovavo in breve spaesato e confuso; in quel momento drammatico ringrazio chi mi è stato vicino; penso a Padre Domenico e ad un gruppo di persone che, non so per quale misterioso disegno divino, si apprestava poco per volta ad entrare nella fraternità…. C’era ancora un futuro!... dei francescani della “vecchia guardia” eravamo rimasti in due ma c’era un consistente gruppo che ci avrebbe portato alla rinascita.
Ciò avvenne il 7 aprile 2002, momento in cui la fraternità riprendeva completamente le sue attività perché otto nuove persone entravano a farne parte e subito venne eletto il Consiglio.
Da allora non sono mancati momenti di gioia, di speranza ma anche di difficoltà, talvolta anche di dolore… Nonostante tutto la fraternità è unita, nessuno di noi si è scelto, proveniamo da paesi e realtà diverse.
Vorrei concludere affermando che in tutti questi anni molte storie si sono intrecciate e per un misterioso disegno della divina provvidenza un filo le ha unite, grazie anche a tante persone di buona volontà che hanno contribuito all’edificazione di una vera comunità francescana.





Messaggio di Medjugorje
25 Aprile 2007
"Cari figli, anche oggi vi invito di nuovo alla conversione. Aprite i vostri cuori. Questo è tempo di grazia, finché sono con voi, sfruttatelo. Dite:”Questo è il tempo per la mia anima”. Io sono con voi e vi amo di un amore incommensurabile. Grazie per aver risposto alla mia chiamata".
Messaggio a Mirjana 2 Aprile 2007
« Cari figli, non siate duri di cuore con la Misericordia di Dio che riversa su di voi così tanto del vostro tempo. In questo tempo particolare di preghiera permettete che io vi trasformi, aiutatemi affinché mio Figlio risusciti in tutti i cuori e il mio Cuore trionfi. Vi ringrazio... non dimenticate che i vostri Pastori hanno bisogno delle vostre preghiere.»
 
Paolo e l’annuncio del Vangelo



C’è un passo, a versetto 1 del primo capitolo della lettera di San Paolo ai Romani che afferma: “Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione, prescelto per annunciare il Vangelo di Dio”.
In questo versetto sono contenuti saluto e presentazione del Vangelo: Paolo si auto presenta e nelle sue lettere ho lo scopo di qualificare il suo messaggio.
Paolo qui rappresenta il Messia, cioè lo stesso Gesù Cristo, come consacrato all’Annuncio del Vangelo.
Qui si parla di Servo nel senso di schiavo, alludendo ai servi di Dio dell’Antico testamento.
Paolo rappresenta il Messia, cioè lo stesso Gesù Cristo, come consacrato ad annunciare il Vangelo.
Qui si parla di Servo nel senso di schiavo alludendo ai servi di Dio nell'Antico Testamento.
In realtà la frase Apostolo per vocazione si può tradurre “chiamato ad essere apostolo”.
I cristiani sono santi per vocazione; i cristiani sono “quasi di più di un apostolo”, in quanto sono tenuti con le loro preghiere a sostenere gli Apostoli e i Vescovi di questa terra, loro successori. Tale sostegno rappresenta la chiamata di tutti i fedeli laici, l’indirizzo è riservato a loro. San Paolo è l’apostolo investito della grazia dell’obbedienza in virtù della fede fra tutti i pagani (apostolo delle genti).
In questi versetti si parla anche di Santi per vocazione, ovvero santi per la chiamata. Altre traduzioni (sempre dai testi originali) affermano: “ai santi per la chiamata di Dio”. La chiamata di Dio è la vocazione alla fede ed è anche la missione dell’Apostolo.
Gesù è anche perfettamente uomo, con i suoi limiti (come San Francesco, San Pio e altri santi che lo hanno testimoniato anche se nessuno di questi era Gesù). Egli ha partecipato dell’umana “avventura”, si è inserito nella discendenza Davidica, unendo Vecchio e Nuovo Testamento: Gesù è uomo senza il peccato ma con tutte le debolezze della natura umana (causate però dal peccato). Gesù fu anch’egli soggetto al dolore e alla fatica. In un’altra circostanza, diversa e ulteriore, il Figlio di Dio (tratteggiato molto bene da Paolo) tramite lo Spirito Santo, è Risorto, autocostituendosi e attuando la sua realtà intima di Figlio di Dio; e noi, Figli nel Figlio, per partecipazione battesimale abbiamo lo Spirito Santo, siamo battezzati col fuoco.
Paolo, infine, tratteggia un Cristo dinamico perché propone continuamente la salvezza al genere umano.
Dobbiamo, in buona sostanza, obbedire a Dio con fiducia e con amore, non per forza e senza pensare a un Dio padrone; con l’intercessione di San Francesco e Chiara, Santa Elisabetta d’Ungheria e Sant’Ignazio di Santhià (e ne possiamo aggiungere tanti altri, tutti direi) facciamo tesoro di questo insegnamento e proviamo anche noi a camminare sulla strada della santità annunciando il Vangelo.

Massimiliano Lanza





Paul and the announcement of the Gospel


There is a footstep, to verse 1 of the first chapter of the letter of St. Paul to the Romans that he/she affirms: "Paul, servant of Christ Gesù, apostle for vocation, select to announce the Gospel of God."
In this verse they are contained regard and presentation of the Gospel: Paul him auto introduces and in its letters I have the purpose to qualify its message.
Paul here the Messiah represents, that is the same Jesus Cristo, as consecrate to the announcement of the Gospel.
Here it speaks of Servant to the sense of slave, alluding to the servants of God of the ancient will.
Paul represents the Messiah, that is the same Jesus Cristo, as consecrate to announce the Gospel.
Here it speaks of Servant to the sense of slave alluding to the servants of God in the ancient Will.
In reality the sentence Apostle for vocation can be translated "called to be apostle."
The Christians are holy for vocation; the Christians are "almost more of an apostle", in how much kept are with their prayers to





STORIA DELLA CHIESA

L’ETÀ ROMANO-GERMANICA
LA CHIESA GUIDA DELL’OCCIDENTE

Carattere generale
Lo scenario di quest’epoca è solo l’Occidente a causa dell’Islam di Maometto (574-632), che invade il nord-Africa, la Siria e la Palestina, e della separazione dalla Chiesa d’Oriente che andava sempre più strutturandosi attorno all’imperatore mentre l’Occidente attorno al papa. Il duplice restringimento del territorio d’influenza della Chiesa romana in Oriente è uno dei presupposti per lo sviluppo di una struttura unitaria ecclesiastica occidentale sotto il Papato anche se non si deve scordare che grande fu il ruolo di Costantinopoli nell’evitare la penetrazione degli “infedeli”.
Proprio la divisione con Bisanzio mostra poi come il rapporto Chiesa-Stato Cristiano in Occidente è stato sempre, sin dall’origine, caratterizzato dalla distinzione di due ambiti fondamentalmente indipendenti che teoricamente avrebbero dovuto essere ridotti mediante un coordinamento ad una unità superiore. Mai questa distinzione fu realizzata sufficientemente da entrambe le parti e quindi anche l’unità non fu mai un vero coordinamento: in queste tensioni è fondata la lotta che domina il Medioevo tra Sacerdozio e Impero. Detto ciò l’Oriente non visse solo di pretese, ma restando ancorato al Cristianesimo primitivo conservò una significativa e singolare pietà liturgico-sacramentale che rese i suoi fedeli capaci del martirio fino ai tempi moderni e che potrebbe essere da maestra della pietà occidentale e per l’approfondimento dei valori cristiani in Occidente.
Abbiamo visto che il Medioevo è il frutto dell’incontro tra il popolo dei Franchi ed il Papato che con sé oltre ai valori spirituali propri trasportava tutta la culture dell’antichità.
I vantaggi di questa fusione fuorno:
I nuovi popoli accettarono con semplicità, in maniera oggettiva, fedele, quasi passiva il Cristianesimo come lo presentava la predicazione della Chiesa e nei primi tempi non si ebbe alcun tipo di speculazione intellettuale autonoma nelle dottrine di fede, in questo spirito affondano le radici certi atteggiamenti di tutto il Medioevo: la fedeltà alla Chiesa, l’unitarietà di tutta la vita spirituale e religiosa e la superiorità culturale del clero.
Ciò che caratterizzava i popoli germanici era una profonda recettività per la sublime, e al tempo stesso attraente, maestà del divino e una tendenza panteizzante con una pallida idea dell’unico Dio che tutto provvede e tali atteggiamenti non andarono totalmente perduti. Va poi notato che la conversione dei Germani è ancora più difficile da spiegare che quelli dei primi cristiani e ciò è dovuto anche alla scarsità delle fonti a nostra disposizione.
Questi popoli poi portarono nella nuova religione una forza etnica inesausta e con un animo muovo ricco di profonda sensibilità mentre la lingua latina assieme all’unica fede cristiana furono un forte elemento coesivo tra le molteplici popolazione e forze germaniche che porteranno alla civiltà ecclesiastica unitaria del Medioevo che tra tanti pregi ebbe però il difetto di separare sempre più il cristianesimo d’Occidente da quello d’Oriente.
Non vanno però dimenticati anche gli svantaggi di questa fusione:
L’elemento naturalistico dei Germani portò a concezioni religiose e a forme di vita religiosa poco raffinate, molto grossolane, anche perché molti concetti della predicazione cristiana si poterono tradurre solo superficialmente visto che i dialetti germanici non possedevano una terminologia con termini astratti e visto che la loro mentalità era più realista che simbolica.
Ciò che portò alla conversione di molti di questi popoli fu non tanto la verità del Dio cristiano, quanto più la sua potenza, la sua superiorità.
L’intimo legame tra vita civile e vita ecclesiastica in funzione di una unità di cultura rischiò, vista anche la natura particolaristica dei Germani, di vincolare il Cristianesimo alle varie forme nazionali costituendo così una continua minaccia all’unità della Chiesa.
Un ultimo rischio riguardava il clero perché supplendo allo Stato spesso e volentieri fu caricato di compiti, di doveri di tipo temporale e quindi anche dei diritti, nacquero così i vescovi-conti, vescovi-principi ecc. e ciò conveniva anche ai signorotti perché così alla morte dei vescovi, che non avevano figli, il potere temporale tornava a loro! Questa unità andrà lentamente dissolvendosi anche se in maniera disuguale perché ciò che a Roma è finito nel 1870 a Vercellì finì nel 1370! Senza far moralismi poi il problema del potere non c’è se lo si piega ad una buona esigenza, se lo si mette al servizio di un valore, ma molto spesso si voleva diventare preti e vescovi non per il servizio ai valori …
Abbiamo già detto la nuova situazione in cui si venne a trovare la Chiesa che dovette lavorare in un modo non più cittadino e unitario, ma campagnolo e frammentato: il sistema feudale. Vanno sempre più prendendo piede così i parroci e i cor-episcopi che più che gli odierni vescovi ausiliari erano i prevosti delle chiese battesimali (cioè con il fonte), chiamate comunemente pievi1 e val la pena notare che con il crescere delle chiese cresceva anche la casa adiacente, perché la chiesa non è tale se non ha anche la possibilità di essere casa. Ma come faceva a nascere una comunità cristiana? Bisognava costruire delle chiese, ma come costruirle se mancava la vita comune e quindi anche la condivisione dei soldi? La fece allora chi aveva i soldi e quindi se ce li aveva la comunità (caso raro) la faceva lei, se ce li aveva il vescovo la costruiva lui, se il sacerdote idem, ma se chi ce li ha è il feudatario, il nobile allora la faceva lui che spesso fecero anche erigere monasteri. E chi costruiva la chiesa la metteva a disposizione di tutti, ma si curava poi del suo mantenimento e gli eventuali utili se era una persona veramente interessata li reinvestiva in toto nella gestione della chiesa, altrimenti poteva usare la chiesa come un mulino facendola funzionare e niente di più: nacque così il sistema delle chiese private2. Il nobile poi per gestire la chiesa chiedeva uno o più preti oppure, nella maggior parte dei casi, li nominava lui stesso tanto che spesso e volentieri si nominava uno dei figli ad ufficio di parroco (che già non è il massimo), nel caso dell’abbazia addirittura ad abate (decisamente già più grave) e nel caso della diocesi come vescovo (gravissimo): ecco il problema delle investiture! E siccome ciò che prevalse fu ovviamente l’aspetto economico i nobili iniziarono a collezionare parrocchie, abbazie e diocesi e lentamente si introdusse la distinzione tra il titolare dell’ente ecclesiastico e colui che realmente lo gestisce come per esempio nel caso di un’abbazia c’era l’abate titolare e quello claustrale! Il valore di questo sistema è che ha fatto le cose chi poteva farle, limite è che spesso la gestione di una realtà ecclesiastica veniva fatta in maniera poco ecclesiale. Nonostante tutte queste difficoltà legate all’arretratezza dei popoli germanici e questi elementi che tanto stridevano con i suoi principi la Chiesa non poté venir meno al suo compito di informare della volontà di Cristo la vita in tutta la sua ampiezza e a volgersi quindi verso questa civiltà esprimendo ancora una volta la sua piena cattolicità, il suo spirito di sintesi che porta a realizzare tutto ciò che in qualche modo è buono e può aiutare l’uomo nel suo cammino verso l’eterno destino e per questo il Medioevo è un tempo di evoluzione e così va valutato.

EPOCA PRIMA – INIZI DEL MEDIOEVO – ETÀ MEROVINGIA
EVANGELIZZAZIONE E PRIMA ORGANIZZAZIONE ECCLESIASTICA
Le due potenze del futuro: Franchi e Papato. Gregorio Magno.
Fondatore del regno dei Franchi fu il Merovingio Clodoveo (481-511) che fu battezzato nel 498 grazie alla moglie cattolica Crotechilde, alla sua esperienza della potenza del Dio cristiano e grazie alla convivenza con i Galli che erano cattolici: sorse così una chiesa nazionale franca che cristianizzò le nuove parti franche dell’Impero sulla destra del Reno, i Germani si fusero con la popolazione indigena gallo-romanica formando un unico popolo romanico, la madrelingua germanica si fuse con il latino formando un unico linguaggio neolatino: il francese. Se la Chiesa nazionale franca quanto alla giurisdizione era essenzialmente isolata essa non pregiudicava l’unità morale di tutta la cristianità ed il suo sviluppo, nonostante le ingerenze nella vita ecclesiastica e alcuni tentativi di Simonia, tutto sommato sotto Clodoveo avvenne in maniera positiva. I successori da Dagoberto († 639) in poi, non seppero però essere all’altezza di Clodoveo e la chiesa entrò di conseguenza in stato di decadenza per un secolo intero vanificando in molti casi tutta l’opera svolta.
Il rafforzamento politico venne con Pipino di Heristal († 714) e il figli Carlo Martello († 741) anche se soprattutto con il secondo la situazione nella Chiesa divenne caotica.
Segno efficace della forza indistruttibile della Chiesa è che essa anche in tempo di barbarie in cui era guidata persone di nessun rilievo, non mancò di coraggio né di capacità nel proseguire il suo lavoro di evangelizzazione e questo grazia all’opera del primo grande Papa del mondo nuovo che sta per sorgere la cui opera è diventata basilare per tutto il Medioevo, Gregorio Magno (590-604):
Egli infatti istituì una più rigida guida di tutta la gerarchia da parte del vescovo di Roma evitando la disgregazione a cui tendevano le Chiese nazionali.
La fonte della caratteristica personalità di Gregorio è da ricercare nella sua romanità (sapienza, umanità ed elevata stima della libertà) approfondita in modo straordinario in senso cristiano.
La sua gloria fu la sua attività missionaria e lo stile con cui la condusse:«Strappare tutto ai popoli incolti non è possibile. Chiunque voglia raggiungere una cima sale a grado a grado e non tutto in un colpo» e invece di rigida uniformità predicò ampio e saggio adattamento.
Rispettando i re ed i loro diritti cercò di ottenere la necessaria riforma con loro e pur facendo accettare a tutti il primato di giurisdizione papale non avanzò mai pretese inopportune o addirittura dispotiche rischiando di metterlo in pericolo, tanto che più che “vescovo universale” amava definirsi servum servorum Dei.
Tutto questo riuscì a fare creando per così dire il monachesimo romano-occidentale che si differenziava da quello solito perché ad esso Gregorio affidò l’incarico della missione e lo plasmò creando dei monasteri in Roma amalgamando ascesi e cura d’anime!
Con lui cresce il prestigio politico del Papato a cui verrà naturale lasciare la guida politica di Roma.

Il Cristianesimo insulare celtico, visigoti, anglosassoni e altri germani: inizio della loro unione con la Chiesa Romana.
L’evangelizzazione dei germani fu capillare ed è caratterizzata dalle conversioni collettive, tipica di quelle tribù e da un sapiente spirito di adattamento secondo l’orientamento gregoriano, anche se spesso per mostrare la potenza del Dio cristiano e l’impotenza degli idoli distruggevano i luoghi di culto pagani, mangiavano le carni di animali sacri e battezzavano nelle sacre fonti delle divinità.
Il popolo dei visigoti che dopo le sue scorrerie si era stanziato nell’attuale Spagna era di confessione ariana, ma con il re Recaredo nel 587 passò al cattolicesimo. Caratteristica della Spagna è la struttura prettamente nazionale della Chiesa e l’influenza dei vescovi era grande soprattutto a motivo della loro partecipazione all’elezione del re.
Molto più importante per la storia d‘Occidente furono però le due Chiese delle isole britanniche perché ambedue (soprattutto l’Irlanda) si adoperarono per l’evangelizzazione dei Germani e del continente: la missione iro-scozzese era decisamente più itinerante e rilevante fu il suo influsso sul monachesimo, sull’organizzazione delle pratiche di penitenza e sull’istituzione della vita cristiana nel Continente, anche se la formazione duratura del Cristianesimo nell’organizzazione ecclesiastica ebbe luogo in parte determinante solo attraverso la missione anglo-sassone. Una prima evangelizzazione dell’Inghilterra avviene nel II secolo, ma il ritiro delle legioni romane nel 410 portò alla ritirata presso le zone montuose dei cristiani rimasti che ben presto riorganizzarono la Chiesa che riuscì ad evangelizzare la Scozia e l’Irlanda, la cui vera e propria conversione è opera del figlio di un diacono britannico, san Patrizio. Curioso notare che la Chiesa irlandese divenne dal VI secolo una Chiesa schiettamente monastica, perché non essendo stata romanizzata l’Irlanda non era divisa in diocesi e i monasteri erano l’unico centro di amministrazione ecclesiastica ed ebbero al contempo un ruolo unico nella conservazione e nella trasmissione della civiltà greco-romana. Caratteristica di questa Chiesa celtica è il suo forte legame con Roma che non le impedisce però di redarguire la Sede apostolica quando questa sbaglia e quindi si vede come in essa l’elemento pneumatico sia ancora molto forte, prevalente su quello giuridico. Questo elemento si contraddistinse anche nella loro forte attività missionaria, spinta peraltro da un forte elemento ascetico, già citata e tutto questo lavoro è legato particolarmente a Colombano il Vecchio († 597), evangelizzatore della Scozia, degli Angli e dei Sassoni e Colombano il Giovane († 615) che fondò monasteri in Gallia, in territorio alemanno e nell’Italia settentrionale. Va detto però che questa evangelizzazione portò molti sospetti in chi li riceveva perché procedeva sotto la protezione dei Franchi, era poi in continuo dissidio con le gerarchie locali perché non cercava poi tanto di inculturare ma trasportava un cristianesimo molto celtico e soprattutto manca di un piano unitario di azione, mancava il fattore ecclesiastico universale, la collaborazione con Roma.

Vita e attività sociale della Chiesa nell’età merovingia
La missione anglosassone tra i germani: unificazione dei popoli cristianizzati attorno al papato.
All’inizio dell’VIII secolo quindi la fondazione dell’Occidente cristiano era ancora tutt’altro assicurata, chi permise ciò fu l’attività missionaria dei monaci benedettini inglesi Villibrordo († 739) e soprattutto del suo discepolo e compagno Bonifacio (672-754) poi che permisero di avvicinare realmente la realtà del Papato e quella del Regno dei Franchi e di far sorgere una alleanza veramente solida. Villibrordo lavorò d’intesa con il maggiordomo franco Pipino e in collegamento con il Papa, tanto che fu consacrato vescovo da Papa Sergio (687-701), stabilì la sua sede ad Utrecht e ricevuto un territorio nell’attuale Lussemburgo fondò il monastero di Echternach che divenne praticamente il punto di partenza per la cristianizzazione definitiva dell’odierna Germania. Bonifacio invece fu colui che estese, purificò e organizzò la Chiesa in Germania e nel regno franco Occidentale e ciò grazie soprattutto alla sua consacrazione come vescovo missionario, senza sede fissa, che ricevette nel 722 da parte di Papa Gregorio II. Egli fondò così il monastero di Geismar, al termine della missione in Assia: la prima vera evangelizzazione era già terminata nel 724, ma ora bisognava passare all’organizzazione in cui si prodigò. Come vivaio e scuola modello per tutta la Germania Bonifacio fondò nel 746 il monastero di Fulda per il quale ottenne l’esenzione totale da ogni vescovo diocesano (notevole ampliamento del potere pontificio nella Chiesa franca).

L’alleanza del Papato con i Franchi: Lo Stato della Chiesa e la rottura con Bisanzio
Va subito notato che fin dall’inizio nell’interazione Papato-Franchi esiste un’importante tensione fra gli scopi che si prefiggono e le idee che hanno gli uni e gli altri, tensione che rimase sempre e che fece procedere l’evoluzione della storia medioevale. I primi contatti per un’alleanza avvennero, grazie al citato Bonifacio, nel 751 tra Pipino (unico detentore del potere politico) e papa Zaccaria a cui chiese di essere riconosciuto come re per stabilizzare la sua posizione di potere, cosa che avvenne con un’unzione da parte dei vescovi che dava al regno franco una consacrazione ecclesiastico-cristiana. L’Alleanza fu conclusa il giorno di Pasqua del 754 tra Pipino e Stefano II (727-757) dopo delle trattative che portarono al distacco del papato dal re longobardo e dall’imperatore romano d’Oriente, significando di fatto, anche se non ancora formalmente, la rottura con Bisanzio.

EPOCA SECONDA – IL PRIMO MEDIOEVO
L’EPOCA DEL PREDOMINIO DELL’IMPERATORE SUL PAPATO
DA CARLO MAGNO AD OTTONE IL GRANDE

PRIMO PERIODO – FIORITURA DELLA CHIESA NEL PRIMO MEDIOEVO NEL REGNO CAROLINGIO E SUA DECADENZA
Carlo Magno: L’impero universale d’Occidente e la civiltà carolingia
Il compimento dell’opera di Pipino e Bonifacio avverrà però definitivamente grazie a Carlo Magno (768-814) con cui ha peraltro inizio l’Impero universale e l’unità cristiana d’Occidente.
Egli iniziò la sua opera con la conquista e la conseguente evangelizzazione dei sassoni, anche se ciò avvenne non omogeneamente, e spesso in maniere deplorevoli, ma culminò nel battesimo di Widukindo, re dei sassoni che ne assicurò la conversione. Il suo regno crebbe ulteriormente con la vittoria sui Longobardi e sugli Àvari.
Carlo seppe poi riconoscere le molteplici forze sociali, spirituali e religiose del Cristianesimo e se ne seppe servire con sovrana superiorità per l’edificazione della sua opera. Così:
a tutti i territori appena conquistati diede un’organizzazione ecclesiastica;
tutte le chiese, anche quelle private, dovevano sottostare ad un vescovo e i vescovadi a loro volta dovevano riunirsi in circoscrizioni metropolitane le cui sedi furono gli arcivescovadi di Colonia, Treviri e Magonza, mentre a quello di Salisburgo fu affidata l’evnagelizzazione dei territori Àvari a cui successivamente l’arcivescovado di Amburgo-Brema nell’831 e di Magdeburgo nel 968;
mediante i concili che egli convocava e dirigeva, e nei quali spesso interveniva, si fissò il quadro di una completa vita ecclesiastico-cristiana;
istituì il controllo della varie zone dell’impero con i missi dominici che solitamene erano due: un conte e un vescovo o un abate, uno per sfera di potere;
si curò molto dell’istituzione di scuole, sia per nozioni elementari che per scopi più alti, presso le chiese episcopali e monastiche;
investì molto sulla cultura, ecclesiastica e non, chiamando come coordinatori dall’Italia Paolo Diacono e da York Alcuino († 804) il suo “ministro dell’istruzione”;
in tutto questo processo di rinascita spirituale inserì i monasteri che per lui più che centri di vita religiosa dovevano essere focolai di civiltà in campo economico, scientifico e artistico;
Tutto questo fece grazie alla sua idea di regno universale occidentale per grazia di Dio che diede per la prima volta alla Chiesa medievale una configurazione universale, anche se partendo da una concezione di monarchia universale dovette a Carlo sembrare impossibile una netta distinzione tra potere religioso e potere politico e in questo non trovò nessuno a chiarirgli le idee perché tra i Papi non ci fu alcuno capace di assumersi questo gigantesco compito. Detto ciò Carlo non fu mai un rappresentante del cesaropapismo perché non volle calpestare i diritti della Chiesa, ma semplicemente inserirli nello Stato per il bene della totalità, anche se spesso prese di propria iniziativa troppe decisioni nelle controversie dogmatiche. L’elemento più pericoloso nella sua politica-ecclesiastica fu comunque l’eccessivo orientamento verso la civiltà che egli aveva imposto alla vita della Chiesa vista spesso solo come istituzione di civiltà rischiando così di sviluppare tendenze unilaterali a carattere canonistico o plagiano.
Il culmine dell’attività di Carlo e del suo prestigio fu raggiunto nella notte di Natale dell’anno 800 quando papa Leone III lo incoronò acclamandolo imperatore. Ciò che fu importante per il successivo sviluppo della Chiesa fu il carattere sacrale, per nulla chiaro, della dignità imperiale che portò successivamente a liturgie proprie di incoronazione (simili a quelle di ordinazione) al termine delle quali l’imperatore veniva incardinato come chierico di san Pietro. E in Carlo Magno questo elemento sacrale fu costitutivo della sua idea imperiale perché facendosi chiamare “predicatore”, “vicarius Dei” o “David” riprese chiaramente il motivo del re-sacerdote. Tuttavia fu presto ben chiaro che questo Impero occidentale costituiva una pesante ipoteca per il suo sviluppo storico, sia in campo ecclesiastico che politico perché due potenze, Papato e Impero, si trovavano in esso ed erano dipendenti l’una dall’altra, ma da un lato senza formulazione delle proprie competenze e ciò doveva portare necessariamente a delle contese e dall’altro il loro accostamento non era artificiale ed estremo, perché avevano un fondamento comune, la fede cristiana della Chiesa latina e dei popoli da essa cristianizzati: quando questo insieme essenziale verrà turbato verso il XIII secolo qualcosa di fondamentale nel Medioevo non sarà più in ordine e sarà proprio la stessa tensione che porta la civiltà cristiana occidentale all’apogeo che vi porrà fine perché contiene in sé i germi della divisione e della futura lotta tra Impero e Sacerdozio.

Seconda fioritura e decadenza della civiltà del primo periodo. Il Papato nel IX secolo
Subito dopo l’Impero di Carlo ritornò la confusione dell’epoca merovingia: il chicco di grano per fiorire doveva prima morire. La vita culturale e sociale di tutto l’impero franco-occidentale fu sostenuta solo dai chierici e dai monaci, i cui centri continuarono ad agire e proprio durante questo dissolvimento politico-statale fiorì ancora una volta il prestigio del papato, prima che la desolazione si abbattesse anche sulla Chiesa, con tre figure che salirono successivamente alla cattedra di Pietro: Niccolò I (858-867), Adriano II (867-872) e Giovanni VIII (872-882). Così con l’abbassarsi del prestigio dell’impero aveva automaticamente elevato la coscienza del potere spirituale dei Papi. In particolare risplende l’opera di Niccolò I, non tanto per i successi che non ottenne, quanto più per il suo aver continuamente enunciato in maniera disinteressata ed efficace un grandioso programma che fruttò abbondantemente solo a partire dall’XI secolo, ponendo il gradino per gli interventi di Gregorio VII e Innocenzo III. Il pontificato di questo papa però segna anche la cesura fra Chiesa orientale e occidentale perché intervenne nella problematica che toccò la cattedra di Costantinopoli dove Fozio aveva destituito illegittimamente Ignazio, in cui papa Niccolò disse che Fozio non poteva essere riconosciuto come patriarca e che le prescrizioni della sede romana obbligano tutti, decisione ratificata dal Sinodo Lateranense nell’863, ma ciò sembrò un’eccessiva intromissione tanto che in un sinodo tenutosi a Costantinopoli nell’867 si destituiva e si scomunicava il Papa! Ma proprio nel massimo infuriare della vicenda Niccolò morì e Fozio fu destituito e scomunicato dall’VIII concilio ecumenico di Costantinopoli dell’867, ma se l’unione tra Roma e Bisanzio non era ancora rotta era di certo decisamente più incrinata. Alla morte di Giovanni VIII inizia quello che è comunemente chiamato “seculum obscurum”, dove si assistette ad un deciso decadimento del Papato, reso possibile solo dalla corrispondente decadenza dell’Impero, il disordine generale infatti faceva trionfare il diritto del più forte e l’unica coesione che si dimostrò stabile rimase comunque la Chiesa anche perché in Germania andava sviluppando i germi per una decisa opposizione al decadimento pontificio con l’avvento dei principi sassoni (919-1024).

L’evangelizzazione dei territori marginali al nord, all’est e al sud-est dell’Occidente
In questo quadro di desolazione generale è incredibile come avvenne comunque una nuova e forte ondata di evangelizzazione dei pagani. Cirillo († 869) e Metodio († 885) furono mandati da Fozio ad evangelizzare la Moravia, ma ci andarono con il permesso di Niccolò I e Metodio fu anche ordinato vescovo e metropolita di Smrinio in Pannonia da Papa Adriano II.
In Occidente l’evangelizzazione sarà invece ravvivata da Ottone il Grande che spinse la Chiesa tedesca ad un forte lavoro missionario organizzato con un piano sistematico: verso nord (Amburgo, Danimarca, Scandinavia, Islanda e Groenlandia), verso nord-est (missione dei Vendi tra l’Elba e l’Older), verso est (Boemia e Polonia) e verso sud-est (Ungheria).

La pietà nel primo medioevo
Il Cristianesimo crebbe molto lentamente in profondità e si trovano concezioni pagano-superstiziose solo laddove ci si allontana dai territori della civiltà antica e dell’antica ecclesialità. Peraltro il Vangelo non è spiritualità allo stato puro e Cristo stesso lascia intravedere più livelli di pietà, ma ciò non doveva distogliere la gerarchia dal richiedere una continua crescita interiorizzante. Ciò che caratterizzerà tutto il Medioevo saranno i pellegrinaggi, la messa e la penitenza.

SECONDO PERIODO – IL RINNOVAMENTO DELLA CHIESA SOTTO L’IMPERO TEDESCO
Ottone I (936-973), Enrico III (1039-1056, veramente devoto ed il più potente di tutti gli imperatori citati). I papi tedeschi (il primo nominato da Ottone III) fino a Leone IX (1049-1054, rafforzò il potere universale del Papa e pose le basi per una riforma vera universale, alla fine del suo pontificato avviene lo scisma definitivo con l’Oriente)
Arte cristiana. L’architettura romanica

EPOCA TERZA – L’ALTO MEDIOEVO
L’ASCESA DELLA GERACHIA A GUIDA DELLA SOCIETÀ OCCIDENTALE
L’EPOCA DELLA SUPREMAZIA DEL PAPATO SULL’IMPERO
Cluny.
Cerco vanamente da tempo di scrivere cose di economia che sono in nettissimo contrasto con quanto scrivono i giornali, anche specializzati. La situazione economica, infatti, è tutt'altro che in ripresa: traggo le informazioni dall'economista americano Lyndon LaRouche, che previde sin dal 2005, ad esempio, il fallimento della banca Lehman! Spero di trovare ospitalità sulla stampa locale. Il 3 ottobre 2009, il Bureau of Labor Statistics (BLS) del governo americano è stato costretto ad ammettere che, da quando si è insediata la Presidenza Obama, quasi 5 milioni di posti di lavoro sono andati perduti. Il BLS ha infatti riconosciuto che i 100.000 nuovi posti di lavoro al mese calcolati per "aggiustamento stagionale" nelle statistiche dall'insediamento di Obama non sono mai esistiti. Così, d'un colpo ha dovuto cancellare 824 mila occupati. In aggiunta, il mese di settembre ha registrato un aumento di 263.000 disoccupati, mentre gli "economisti" di Wall Street ne aspettavano solo 180.000. Questa è una prova drammatica che i "programmi di stimolo", varati dall'amministrazione Obama nel contesto dell'agenda del G20, sono serviti solo a salvare il sistema finanziario in bancarotta. Mentre l'occupazione e l'economia reale continuano a sprofondare, i profitti bancari - finanziati dal denaro dei contribuenti - hanno ripreso a salire e la bolla speculativa è continuata a crescere. Il valore nozionale dei derivati OTC (fuori bilancio) negli Stati Uniti, nella prima metà del 2009, ha raggiunto la cifra di 203 trilioni di dollari, il massimo storico. Dato che solo 6 banche posseggono l'80% di quella bolla, e che basterebbe un buco dell'uno per mille per scatenare una reazione a catena, il quadro del prossimo collasso finanziario è già tratteggiato. Con la crisi economica, è sceso il valore degli uffici, dei centri commerciali e delle proprietà residenziali in mano alle imprese. La maggior parte di essi sono gravati da ipoteche e da altri debiti.  Il settore commerciale, più piccolo di quello abitativo, rappresenta un mercato di 3,5 trilioni di dollari. Mentre i prezzi sono caduti di circa il 40% dai massimi del 2007, i debiti rimangono. Molte proprietà furono acquistate nell'aspettativa di prezzi crescenti, con l'obiettivo di rifinanziare i debiti alla scadenza. Errore di calcolo. Le istituzioni finanziarie stanno applicando la stessa politica della Reichsbank nel 1923: espansione monetaria. Solo quest'anno, la Federal Reserve ha distribuito 11,8 trilioni di dollari tra iniezioni di liquidità e garanzie bancarie, ma gli esperti stimano che la cifra reale si aggiri sui 15-18 trilioni. La Fed ha acquistato la metà di tutti i buoni del tesoro americano emessi quest'anno e ora possiede più titoli del debito pubblico USA della Cina e del Giappone. Gli aggregati monetari della Fed sono cresciuti del 21%, ma le banche non girano i soldi all'industria. Il credito alle imprese è sceso in tutti i paesi industrializzati. In altre parole, l'economia finanziaria viene sovvenzionata, quella reale viene sacrificata e si profila il pericolo di iperinflazione. Ecco perchè a mio parere siamo ben distanti dalla fine della crisi economica ed anzi non abbiamo ancora avuto la percezione di quel che inevitabilmente accadrà se continueranno a dirigere l'economia mondiale gli illusionisti delle bolle finanziarie, che, dopo avere rovinato l'economia mondiale, oggi sono al capezzale dell'economia medesima con la pretesa di .. curarla!
SANDRO DELMASTRO DELLE VEDOVE


I try for a long time vainly to write things of economy that are in clean contrast with how much they write the newspapers, also specialized. The economic situation, in fact, is everything anything else other than in resumption: I draw the information from the American economist Lyndon LaRouche, that foresaw since 2005, for instance, the failure of the bank Lehman! I hope to find hospitality on the local press. October 3 rd 2009, the Bureau of Labor Statistics (BLS) of the American government has been forced to admit that, from when the Obama Presidency is installed, 5 million places of employment have almost gone lost. The BLS has in fact recognized that the 100.000 new places of employment a month calculated for "seasonal adjustment" in the statistics from the installation of Obama they have never existed. This way, of a hit has had to cancel 824 thousand busy. Additionally, the month of September has recorded an increase of 263.000 unemployed, while him "economists" of Wall Street waited only for of it 180.000.




Leggi Mt 16, 13-20

Commento al Vangelo - rito romano
XXI Domenica del T.O. – anno A

vv. 13-16: questa è la professione di fede di Pietro nella messianicità di Gesù nel mistero della Croce.
Matteo non si preoccupa del mistero graduale della fede dei discepoli e delle folle. Egli utilizza la confessione di Piero per riportare il testo di somma importanza per il Vangelo Ecclesiastico della presenza di Cristo nel primato di Pietro.
V. 13 – Cesarea di Filippo: la città situata a circa quaranta chilometri a Nord di Tiberiade nei pressi dei Dan, fu costituita dal tetrarca Erode Filippo verso il 2 a.C. e chiamata Cesarea in onore di Cesare Augusto.
Il Figlio dell’Uomo: l’espressione sostituisce il pronome “Io” come appare chiaramente negli altri sinottici, Marco e Luca. Sostituito dal pronome personale con l’appellativo il Figlio dell’Uomo, misteriosa designazione del Messia divino-umano derivante dalla celebre visione danielitica (Dn 7,13-14), Matteo anticipa nella domanda di Gesù la risposta dei discepoli.
V. 14 – Giovanni il Battista: è l’opinione d’Erode Antipa in 14,2 (Elia).
In certi ambienti l’aspettativa messianica si prospettava nel profeta Elia quale messaggero del gran giorno di Jhavè (Ml 3,23). Geremia: è il campione d’Israele in tempi di crisi nazionale; quello che ama i fratelli e intercede per il popolo e alla Città Santa secondo Mc 15,14.
v. 16: Il Figlio del Dio vivente: un’espressione simile accompagnata dall’appellativo “Il Cristo”, ritornerà sulla bocca di Caifa nella notte del processo davanti al sinedrio: essa manca in Mc e in LC. Gli esegeti moderni sono inclini a scorgervi un’esplicitazione fatta dall’evangelista (Cfr. 14,33) della fede degli apostoli nella divina filiazione di G,C, diventata consapevole e chiara solo dopo la risurrezione e al Pentecoste.
Solo Matteo parla dei poteri Ecclesiastici di Pietro. Pietro è stato investito da un potere divino, vitale alla comprensione del popolo. È la riflessione della Chiesa primitiva orientato dal semitismo (ovvero la carne e il sangue, le porte degli inferi, legare e sciogliere) che ne assicura la più altra antichità; G.C. fa due affermazione vitali:
I.Su Pietro, roccia e appoggio della Chiesa;
II.L’edificio Chiesa che è Cristo;

il male e la morte non hanno potere sulla Chiesa, mai, in nessun caso.
Come scrive il Prologo del vangelo di Giovanni che al v. 13, dice le stesse parole (ipsissima verba Christi) riferite da Gesù a Pietro, i quali “non da potere di sangue, né da volere di carne né di uomo… ma da Dio sono stati generati.
Pietro emerge nel gruppo dei discepoli alla sequela di Gesù. Anche la Chiesa ha il suo cuore pulsante, rispecchiato in Pietro.
Pietro è il primo degli Apostoli ( - PROTOS) (10,2). È vicino al Maestro al Tabor.
Pietro, Giacomo e Giovanni sono i cardini della Chiesa e sono i testimoni più qualificati della Risurrezione.
Elia corrisponde a Giovanni;
Gesù a Pietro;
Mosè a Giacomo.

Nella casa di Giovanni sono presenti (MC 5,37), nel Getsemani (26,31), quando Gesù lascia Nazareth è Cafarnao, la casa di Pietro, dimora di Gesù. Portavoce alla professione di fede messianica (16,16). A Cafarnao (GV 6,68) il Pane Vivo, nel mezzo della risurrezione (Mc 16,7). Gesù dopo la risurrezione, si manifesta prima a Piretro (Lc 24,34 e 1 Cor 15,15)=. È eletto direttamente dal Cristo… (Gv 21, 15-17) = Ha conferito a Pietro la pienezza dello amore. Pietro è la roccia della Chiesa, sulla salvezza, sull’incredulità.
Questa Chiesa, roccia della salvezza incrollabile, in Jhavè, luce di salvezza (Sal 18,3).
È la roccia che funge da pietra angolare (21,42) su cui sorge il nuovo Tempio, la case dell’assemblea dei Dio.
17: Figlio di Giona:
Gesù si paragona a Giona che rimase tre giorni nel ventre di una balena. Collodi, l’autore di Pinocchio, utilizza lo stesso termine di paragone, così ritroviamo i personaggi Geppo e Pinocchio nel ventre della balena che rappresentano tutti i catecumeni.
Carne e sangue sono tutto l’uomo con (e lo diciamo con Sant’Ignazio) la sua intelligenza, volontà, intuizioni, affetti, passioni, ecc., cose tutte che, se restituite a Dio, sono e diventano buone.
Pietro…pietra (gr. PETROS): alcuni documenti antichi non utilizzano il termine Pietra: tali testi erano in voga all’epoca.
In Aramaico Kefà, come nome di persona dovrà concludere che è stato coniato (neologismo) da Gesù per designare l’ufficio petrino di ROCCIA; questo ufficio è dato al Principe Apostolorum. L’appellativo gli viene dato direttamente da Gesù. Paolo chiama Pietro quasi esclusivamente con l’appellativo dell’Aramaico “kefà” (Cfr. Gv 1,42); l0’impostazione di un nume nuovo da parte di Dio è, nella tradizione biblica, simbolo ed espressione della particolare missione a cui l’uomo è chiamato; tale il caso di Abramo (Gen 17,5), di Giacobbe (Gen 32,29), di Gedeone 8Ged 6,7) di Maria (Lc 1,28).
Edificherò: l’immagine dell’edificio spirituale costruito sulla roccia ricorre in un Inno della comunità di Qumran (1Qh. 6,26-27), in cui si legge: “Tu, (o Dio) porrai la fondazione sulla roccia… per costruirvi un edificio solido che non possa crollare. E nessuno di quelli che vi abita vacillerà, perché nessun estraneo vi potrà entrare”. L’immagine della roccia, della roccia riferita a Dio, quale sicuro sostegno del Popolo eletto e di tutti i tribolati che confidano il Lui, e ricorrente all’A.T. (Cfr. 1Sam 2,2; 2Sam 22,2-3; Sal 18,3; 19,15; Is 17,10, ecc.).

Nel N.T. si trova più volte riferita a Cristo l’origine veterotestamentario della Pietra Angolare (Cfr. At 4,11; Rm 9,33; 15,20; 1 Cor 3,10 e 1Pt 2,47).

La mia Chiesa: “Chiesa in greco Ekklesia - ”, termine comune degli scritti apostolico; ricorre nel Vangelo sono il Matteo, nel Vangelo Ecclesiastico precisamente in 18,17.
Ekklesia di cui Chiesa è il ricalco che designava nel Mondo greco profano l’assemblea del popolo, cioè del popolo democratico, inteso come forza politica. Il vocabolo fu adottato dalla versione greca dei LXX, per tradurre il termine ebraico QAHAL, usato in modo particolare dalla corrente deuteronomistica per designare l’assemblea religiosa dalla comunità di Jhavè (Dt 23) ma accanto a Ekklesia i LXX usavano anche la parola sinagoghe (da cui sinagoga) con la quale traducevano per lo più il vocabolo ebraico di edah, usato in modo particolare nella tradizione sacerdotale per designare la stessa realtà. A tempo di Gesù i vocaboli ebraici quadash ed adash solo più tardi, quando i cristiani si appropriarono il 1° vocabolo e lasciarono al giudaismo il 2° vocabolo, il termine designò entità diverse. Al movimento suscitato alla sua predicazione, Gesù vuol dare una struttura che sia in linea con le Istituzioni veterotestamentarie; per questo gli diede il nome biblico di comunità, di assemblea di nominati (convocati; Ekklesia deriva da chiamare/convocare, della divina chiamata che realizza la Klete agaia, la miqraquodes (Cfr. Is 12,16 e Lv 23,3) dei tempi messianici. Essa è detta del Cristo come quella antica era detta di Dio (Ekklesia tu teu – ); anche gli Esseni (Qumran) amavano chiamarsi la “chiesa della Nuova Alleanza”.
le porte degli inferi… “Inferi” traduce il termine greco che e a sua volta rende il termine ebraico di Sceol, ben noto in tutte le pagine dell’Antico Testamento; l’ADE è l’aldilà, cioè il REGNO dei morti. Nel N.T. esso rappresenta il contro regno della Vita. Gesù assicura che la sua Chiesa non fallirà mai. Tale è il senso di porte nel linguaggio biblico originale, cioè essa rimarrà nella Vita e portatrice di vita. Vicino al nostro passo per fraseologia e contenuto è Is 28, 16-17: (ecco, io pongo in Sion una pietra per fondamento, pietra scelta, angolare, preziosa; chi avrà fiducia in essa non vacillerà… verrà distrutto i vostro patto con la morte e al vostra alleanza con lo Sceol, non reggerà”.
19 LE CHIAVI (Gr. )…Qui la metafora cambia; prima si parlava di Pietro come fondamento dell’edificio, ora si parla di lui come sovrintendente, maggiordomo del Regno dei Cieli. Nell’Apocalisse Gesù Cristo di presenta in possesso della chiave degli inferi (Ap 1,18) simbolo della podestà che egli esercita sia sul Regno della Morte sia sul quello della vita; Gesù trasferisce la stessa podestà a Pietro, il quale la esercita in vista dell’accesso e degli uomini nel Regno di Dio. Il simbolismo delle consegne delle chiavi come trasmissioni di poteri è bene illustrato dal vaticinio di Isaia riguardante Eliakim, maggiordomo della dinastia davidica al tempo del Re Ezezhia: “io chiamerò il mio servo Eliakim figlio di Chelkia… metterò la tua (del Re Ezechia) autorità nelle sue mani, ed egli sarà padre per gli abitanti di Gerusalemme e per la casa di Giuda. Metterò sue spalle al chiave della casa di Davide; Egli aprirà e nessuno chiuderà; Chiederà e nessun aprirà (is 22, 20-22), testo interpretato in senso messianico e applicato in Ap. 3,17 al Cristo, detentore della Chiave di Davide1. Secondo l’Apocalisse di Baruc (10,18) ai sacerdoti, in quanto amministratori della casa del Signore, sono consegnate le sue chiavi
– legato…sciolto ;  – legare e sciogliere sono termini tecnici del linguaggio giuridico del tempo; significano rispettivamente condannare e assolvere, come anche dichiarare una cosa vietato o lecita. La potestà di Gesù conferisce a Pietro il potere disciplinare di ammettere o estrudere dalla Casa di Dio, come anche di impartire disposizioni obbliganti nel campo della fede e dei costumi. In 18,18 una simile po9testò viene riconosciuta da Cristo agli altri apostoli.
Nei cieli - : l’espressione, interpretata in ambiente semitico, vuol dire probabilmente da Dio.
v. 20-23: la prima volta che Gesù parte della passione fa scandalizzare Pietro a Cesare di Filippo: si tratta di una svolta riguardo alla fede degli Apostoli. Sulla fede in Gesù Cristo Messia, poco prima professata per bocca di Pietro, di doveva innestare la fede in Gesù Servo di Dio (sofferente), fede questa ultima più difficile da mettere in pratica perché complesse erano le menti giudaiche e così gli Apostoli non si smentivano come veri giudei.
v. 20 – poi comandò -: è ripresa la narrazione interrotta dopo il versetto 16. Gesù, ora che la fede messianica dei discepoli è giunta a maturazione, vuole che essa non si confonda con le grossolane attese o idee del messianismo popolare.
aPPENDICE (da Liturgia delle Ore – rito romano – dal 30 aprile 2007).
Pietro, infatti, in quanto persona e in quanto considerato sul piano della specie umana era ben sì un solo uomo, sul piano della grazia era certo un cristiano solo, sul piano superiore di grazia poi, egli era l’unico e medesimo Principe degli Apostoli. Pur tuttavia rappresentava la Chiesa universale.
Gesù dunque volle dire: sulla pietra che fu oggetto della tua professione di fede, io edificherò la mia Chiesa. Quella pietra era Cristo (Cfr. 1Cor 10,4). Sopra questo fondamento fu edificato anche Pietro (Dio incise con caratteri di fuoco, le medesime parole incise su Pietro, come (pietra miliare della Chiesa). “Infatti, nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova che è Gesù Cristo (1Cor 3,11).
Dunque la Chiesa che è fondata in Cristo, ricevete da lui nella persona di Pietro le Chiavi del Regno dei cieli, cioè la potestà di sciogliere e legare i peccati e questa Chiesa ama e segue Cristo e per questo viene liberata dai mali. La Chiesa segue Cristo in modo speciale nella persona di chi lotta per la verità fino all’ultimo.
Allegato all’appendice
Chiave:
Le civiltà urbane dell’oriente conobbero molto presto chiavistelli di legno e di bronco per chiudere le porte.
Nell’opera gnostica pistis sophia la chiave ha la funzione d’immagine linguistica dei misteri che aprono il cielo agli iniziati. La consegna delle chiavi di una casa appena costruita o di una città conquistata è espressione della consegna del possesso e del potere.
Nell’ira Dio può dimenticare la misericordia e chiudere il suo cuore (Sal 77,10); è ovvio che Dio può chiudere anche i cieli così che non cada più pioggia (Dt 11,17).
Eliakim, gradito da Dio, viene chiamato a divenire maggiordomo del Re: “sarà un padre per gli abitanti di Gerusalemme e per il casato di Giuda: gli porrò sulle spalle la chiave della casa di Davide. Le chiavi del Regno dei cieli significano il potere supremo nelle questioni relative al Regno di Dio. La chiave può diventare anche immagine dell’apertura ai beni spirituali; così Gesù gridò agli Scribi: “Guai a voi, Dottori della Legge, che avete tolto la chiave della Scienza (LC 11,52). La frase significa che così hanno tenuto chiusa la porta verso la vera conoscenza di Dio. Dio può aprire anche gli inferi; al suono della Quinta tromba Giovanni vide:_ “Un astro caduto dal cielo sulle terra gli fu data la chiave del pozzo dell’abisso” (Ap 9,1).
A partire dal V secolo, la consegna delle chiavi a Pietro viene rappresentato sui sarcofaghi e sui mosaici.
Nello stemma dello Stato Pontificio, risultano impresse due chiavi incrociate. Sarà un caso? È una realtà evangelica?…
La virtù teologale della fede può avere contribuito ad una chiave che allude alla sua fedeltà.

Scavi di Pompei
Famosi a livello planetario, gli scavi di Pompei sono l'unico sito archeologico al mondo, assieme a quello di Ercolano, in grado di restituire al visitatore un centro abitato romano, la cui vita è rimasta ferma ad una lontana mattina del 79 d.C., epoca dalla quale il Vesuvio decise di cancellarlo dalla terra.
La città deve il suo eccezionale stato di conservazione alle modalità con cui è stata sepolta. Tonnellate di ceneri, pomici e lapilli l'hanno coperta sotto uno strato di oltre 6 metri preservandola, nel contempo, dalla maggior parte delle offese del tempo. Gli stessi materiali piroclastici, cementandosi attorno ai corpi investiti, ne hanno conservato l'impronta, consentendo agli archeologi di restituirceli negli atteggiamenti assunti a seguito di brevi ma atroci agonie.
Il centro romano che si visita oggi è in realtà "figlio" di un altro, più antico, fondato all'inizio del VI secolo a.C. dagli Osci, genti italiche cui si sovrapposero successivamente i Sanniti.
La città italica ha lasciato moltissime tracce di se. Essa, infatti, inizialmente abitata solo nella zona dove attualmente si trova il foro, si estese successivamente assumendo l'impianto ad isolati rettangolari (insulae) ancora visibile. Anche molti edifici attualmente visitabili furono realizzati nel corso del II secolo a.C. prima che Pompei, in seguito alla guerra sociale che l'oppose a Roma, fosse conquistata da L. Cornelio Silla divenendo colonia romana (80 a.C.).
Negli anni della colonia vi furono alcune importanti realizzazioni, quali le Terme del Foro e l'Anfiteatro. L'aspetto attuale fu comunque raggiunto nella prima età imperiale, epoca cui risalgono la Palestra Grande e gli edifici pubblici sul lato est del Foro. Quest'ultimo, circondato da un portico e dominato dal tempio di Giove, costituisce il cuore della città, il suo centro politico, amministrativo e commerciale.
Al Foro si contrappone il quartiere dei teatri, cuore pulsante delle attività culturali e religiose pompeiane, realizzato nel II secolo a.C.
Le attività "ludiche" furono collocate in gran parte all'estrema periferia dove è possibile visitare l'Anfiteatro e la Palestra Grande.
Di grande interesse anche le terme pubbliche: quelle del "Foro" e quelle "Stabiane", visitabili nella sola sezione maschile e caratterizzate dall'alternarsi d'ambienti a temperatura gradatamente crescente (frigidarium, tepidarium e calidarium).

Il passaggio delle Reliquie di Santa Elisabetta

Dio ha mandato “suo Figlio, il Verbo eterno, che illumina tutti gli uomini, affinché dimorasse tra gli uomini e spiegasse loro i segreti di Dio” (Dei Verbum, 4)
Dio, in Cristo, valorizza, innalza la persona umana e la storia. Canta Sant'Ireneo che “la gloria di Dio è l'uomo vivente”.

Le Reliquie di Santa Elisabetta passeranno anche alla fraternità francescana di Biella (S. Sebastiano) e al Convento della Spolina per celebrare l'ottavo centenario della Nascita. Le celebrazioni sono iniziate il 19 novembre dello scorso anno e termineranno alla fine del corrente anno 2007. Il 7 dicembre le spoglie della Santa saranno prima a Biella e poi l’8 dicembre a Cossato e le potremo allora venerare. Sì, perché Dio si Adora e i Santi si venerano.
L'altro aspetto a cui ci richiama Santa Elisabetta è la santità di tipo laicale, ovvero quella a cui noi tutti, laici, madri e padri di famiglia, giovani, ecc. siamo chiamati. Santa Elisabetta non vuole da noi semplici atti devozionali o inutili cerimonie ma ci vuole richiamare a questo prezioso aspetto! La sua intercessione ci aiuti e ci protegga.
“Se è vero che la Chiesa è un popolo in cammino, penso che, una volta ogni tanto, le statue dei nostri santi dovrebbero essere poste tutte giù dai piedistalli, messe a terra, alla nostra portata... A questo punto però il nostro impegno non sarebbe più quello dell'accender loro la candela, ma quello più faticoso e arricchente dell'accoglierli come “capi cordata”, come guide che ci indicano il cammino di fede anche nella notte delle difficoltà.
Elisabetta è una santa tutta da riscoprire!
La sua vita brevissima di 24 anni ci richiama costantemente a “vivere il presente”: il suo abbassarsi dal trono al servizio dei fratelli e delle sorelle più poveri può davvero sgorgare soltanto dall'esempio di Cristo Gesù che pur essendo Dio, spogliò se stesso assumendo la condizione di servo” (Filippesi 2,11). E poi la sua testimonianza di Preghiera e di gioia anche nelle avversità, di vita penitente e povertà condividendo tutto con gli altri, come afferma il Vangelo.
Edith Stein su sant'Elisabetta scrive: “Elisabetta possedeva un cuore che traboccava d'amore... Fin dalla più tenera età, vediamo questo cuore traboccare di misericordia, aprirsi a ogni disperazione, compativa ogni pena. Ella sentiva l'urgenza di nutrire gli affamati, curare i malati... Non le basta soccorrere la miseria fisica, quello che vorrebbe é scaldare al suo cuore ardente i cuori infreddoliti... il fiume di carità che si espande e da tutta la sua persona, le viene da una sorgente inesauribile, quella dell'amore del suo Signore. A coronamento di tutto ciò Elisabetta affermava che noi “dobbiamo rendere gioiose le persone”.
Con San Francesco impegniamoci a non cercare gloria e onore nel raccontare le gesta dei santi, ma a cercare piuttosto di seguirne concretamente l'esempio.
Firmato Massimiliano Lanza

"L'eutanasia e il suicidio assistito"
A cura del Gruppo di lavoro sui problemi etici posti dalla scienza, nominato dalla Tavola Valdese, composto da persone appartenenti alle chiese evangeliche e attive nell’ambito della ricerca, dell’università e della chiesa
Sul presente documento il Sinodo del 1998 si è espresso con un proprio atto.
Premessa
Il dibattito sull’eutanasia e il suicidio assistito si è notevolmente ampliato negli ultimi anni interessando sempre più da vicino tanto il grande pubblico quanto le categorie coinvolte nella cura dei malati inguaribili.
Il presente documento intende approfondire questa delicata materia. Il primo capitolo contiene la spiegazione dei termini impiegati nel dibattito e precisa il loro significato. Successivamente il documento espone lo stato del dibattito. In terzo luogo esso passa in rassegna le situazioni cliniche nelle quali il problema si pone. Il quarto capitolo discute alcuni orientamenti e proposte e l’ultimo capitolo infine esamina più da vicino gli aspetti di ordine etico e pastorale emersi nei punti precedenti.
Due sono le argomentazioni di maggior rilievo: la prima si appella al rispetto per l’autonomia del paziente (numeri 2.8 e 5.6); la seconda estende il concetto di cura fino a includervi l’aiuto offerto a chi intende morire dignitosamente (numeri 4.3 e 5.4).
1 – Definizioni
1.1 L’eutanasia può essere definita in senso lato come qualsiasi atto compiuto da medici o da altri, avente come fine quello di accelerare o di causare la morte di una persona. Questo atto si propone di porre termine a una situazione di sofferenza tanto fisica quanto psichica che il malato, o coloro ai quali viene riconosciuto il diritto di rappresentarne gli interessi, ritengono non più tollerabile, senza possibilità che un atto medico possa, anche temporaneamente, offrire sollievo.
1.2 L’eutanasia attiva consiste nel determinare o nell’accelerare la morte mediante il diretto intervento del medico, utilizzando farmaci letali (ad esempio un barbiturico ad azione rapida che induce il coma e una dose elevata di cloruro di potassio, che determina l’arresto cardiaco). Questo è il significato che attribuiremo al termine eutanasia nel proseguimento della discussione.
1.3 Il suicidio assistito indica invece l’atto mediante il quale un malato si procura una rapida morte grazie all’assistenza del medico: questi prescrive i farmaci necessari al suicidio (si tratta in genere di barbiturici o di altri forti sedativi o ipnotici) su esplicita richiesta del suo paziente e lo consiglia riguardo alle modalità di assunzione. In tal caso viene a mancare l’atto diretto del medico che somministra in vena i farmaci al malato.
1.4 Il termine eutanasia passiva viene invece utilizzato per indicare la morte del malato determinata, o meglio accelerata, dall’astensione del medico dal compiere degli interventi che potrebbero prolungare la vita stessa: un esempio potrebbe essere rappresentato dall’astensione dal trattare con terapia antibiotica un malato di demenza di Alzheimer, oppure un neonato gravemente deforme, con breve aspettativa di vita, colpito da polmonite. In realtà, sarebbe opportuno non utilizzare il termine eutanasia in tal senso; è invece preferibile in questo caso parlare di astensione terapeutica.
1.5 In altri casi i medici devono ricorrere, per mantenere in vita una persona, all’impiego di apparecchi meccanici oppure alla nutrizione totale mediante sonda o fleboclisi o ad entrambi i mezzi. Si definisce allora come sospensione delle cure la decisione di fermare questi interventi, con il risultato della morte dell’individuo, peraltro in tempi non sempre rapidi.
1.6 La morte può anche essere causata o accelerata dall’impiego in dosi massicce di farmaci, come ad esempio la morfina o i suoi derivati, somministrati allo scopo di alleviare sintomi quali il dolore o la dispnea. In questi casi la morte non è la conseguenza di un atto volontario del medico, ma piuttosto un effetto collaterale del trattamento.
2 – Stato del dibattito
2.1 In oncologia, l’argomento trova sempre più spesso spazio nelle riviste specializzate e nei congressi medici. Fra il 1991 e il 1996 è possibile identificare 296 citazioni sul suicidio assistito in riviste oncologiche, mentre nel decennio 1981-1990 le citazioni erano solo 21. Nel numero di febbraio 1997 del Journal of Clinical Oncology, organo ufficiale dell’American Society of Clinical Oncology, troviamo un editoriale e due articoli sul suicidio assistito. Questo dato è particolarmente interessante, specie se si aggiunge alla crescente frequenza con cui è possibile trovare tale argomento nei programmi dei più importanti congressi di oncologia, in quanto fino a pochi anni fa esso non trovava posto in sedi dove la discussione riguardava esclusivamente le procedure diagnostiche e i protocolli terapeutici delle malattie neoplastiche.
2.2 A questi dati occorre poi aggiungere quelli riguardanti altre malattie croniche, specialmente le patologie neurologiche come il morbo di Alzheimer e le gravi lesioni permanenti del sistema nervoso.
2.3 Si può in generale rilevare quindi un crescente interesse verso il termine della vita, focalizzato soprattutto sulla qualità del periodo terminale della vita e del morire.
2.4 Non c’è alcun dubbio sul fatto che si vada intensificando la percezione che le tecnologie mediche sempre più complicate e costose siano in grado di allungare la vita, ma non necessariamente di migliorarne la qualità.
2.5 È interessante rilevare come la discussione porti sempre in primo piano il ruolo del medico nel porre termine anticipatamente alla vita. Il problema quindi non è tanto se sia lecito o no troncare volontariamente la vita, ma se sia lecito che il medico assista il malato nel suicidio o procuri la morte con un atto deliberato. Ciò comporta un profondo mutamento nel ruolo del medico stesso, che si trasforma da chi agisce esclusivamente per tenere in vita il suo paziente il più a lungo possibile in chi svolge un ruolo attivo nel procurare la morte, quando non vi siano più possibilità di conservare al paziente una dignitosa qualità di vita. È questo aspetto del problema che sembra incontrare la più fiera opposizione negli ambienti medici.
2.6 D’altro canto, si rilevano prese di posizione contrarie all’eutanasia e al suicidio assistito fondate su argomenti giuridici, poiché la giurisprudenza in vigore nella maggior parte dei paesi considera tali atti come veri e propri omicidi; nella particolare situazione del suicidio assistito, mentre l’atto del suicidarsi non è mai considerato un reato, lo è invece il prestare aiuto, il facilitare il suicidio stesso.
2.7 Sul piano più strettamente etico, uno degli argomenti che ricorrono più spesso nelle argomentazioni contrarie all’eutanasia è certamente quello che si richiama alla "sacralità" della vita: per un’etica religiosa essa è data all’uomo da un Creatore che è il solo a poterne disporre e non è lecito alla creatura intervenire attivamente per abbreviare anche di poco la sua durata. Solo Dio è padrone della vita e della morte. Ma anche un’etica non esplicitamente radicata nella religione fa talvolta riferimento all’intoccabilità della vita, implicitamente riconoscendole un valore sacro e in qualche modo "soprannaturale".
2.8 Contro queste argomentazioni si situa il diritto del malato di poter decidere di porre termine a un’esistenza divenuta intollerabile. Egli chiede perciò al medico di esercitare le sue conoscenze non più per mantenerlo in vita, ma per condurlo rapidamente e in maniera indolore alla morte.
2.9 In realtà, poiché molteplici e complesse sono le situazioni di fronte alle quali ci si trova, è necessario esaminare le condizioni nelle quali può sorgere la richiesta di eutanasia o di suicidio assistito.
3 – Situazioni cliniche
3.1 I malati di cancro sono le persone dalle quali più spesso può venire la richiesta di eutanasia o di assistenza al suicidio. Molti tumori maligni sono oggi suscettibili di essere trattati con diverse modalità terapeutiche: la chirurgia, la radioterapia e la chemioterapia, da sole o in combinazione, oppure in sequenza, sono in grado di prolungare notevolmente la vita dei malati di tumore, anche se il numero di quelli guaribili è ancora decisamente basso. Come conseguenza, nella maggior parte dei casi, questi malati vivono con la loro malattia per diversi anni, sottoponendosi a trattamenti rilevanti, che causano a loro volta disturbi (si pensi alle menomazioni prodotte da alcune chirurgie demolitive, oppure agli effetti collaterali della radioterapia e della chemioterapia). Nel momento in cui il tumore si diffonde progressivamente nell’organismo, esso determina l’insorgere di sintomi molto gravi: dolori spesso intensissimi, estrema debolezza, vomito, dispnea, paralisi e perdita di controllo degli sfinteri. Anche se le cure palliative correttamente impiegate sono in grado di controllare in parte questi sintomi, qualche volta il dolore o la dispnea sono tali che i farmaci a disposizione hanno solo degli effetti parziali. In questo stadio il paziente può considerare il suo stato intollerabile e richiedere al medico di intervenire per accelerare la morte.
3.2 La condizione dei malati di Aids è esemplificativa degli atteggiamenti possibili di fronte alla certezza della morte e alla previsione abbastanza precisa di quanto ci si può attendere nel resto della vita. Si tratta di persone consapevoli del fatto che la loro malattia può in certi casi essere prolungata per alcuni anni. Dopo un periodo anche abbastanza lungo di sieropositività, esse andranno soggette ad infezioni opportunistiche e a diverse forme di tumore maligno con effetti devastanti sulle condizioni di vita, fino alla fine.
3.3 La malattia di Alzheimer ha in genere un decorso di molti anni dal momento dell’esordio, caratterizzato da una perdita della memoria specie per i fatti recenti. Nell’evoluzione della malattia, le facoltà intellettuali si deteriorano progressivamente. Tuttavia, le persone colpite sono in grado di condurre, per tre o più anni, una vita relativamente piena. Solo negli stadi terminali si assiste a una totale incapacità di svolgere le funzioni vitali più elementari. È importante rilevare come in questo caso, come nelle forme più rare di demenza senile e presenile, non ci si trovi in pratica mai di fronte a un’esplicita richiesta di affrettare la morte. Piuttosto, è possibile che il medico debba decidere se ottemperare o meno ad un testamento biologico (living will) nel quale l’individuo abbia espresso in anticipo il desiderio di non essere curato per prolungare l’esistenza in una simile situazione.
3.4 In altre malattie neurologiche a decorso ingravescente, come la sclerosi multipla e la sclerosi laterale amiotrofica, si assiste a una progressiva perdita delle capacità motorie dell’organismo. Eventi improvvisi, in genere dovuti a disturbi circolatori, possono analogamente rendere impossibile qualsiasi movimento tranne quello degli occhi. La persona colpita diventa quindi incapace di svolgere anche le più elementari funzioni della vita, come spostarsi, mangiare, provvedere all’igiene e ai bisogni corporali, mentre le facoltà intellettuali restano perfettamente integre. Di qui può scaturire la decisione consapevole del malato di richiedere al medico di porre termine alla sua esistenza.
3.5 Situazioni abbastanza simili si possono osservare anche nel corso di altre gravi malattie croniche, come l’artrite reumatoide. In tutti questi casi si assiste a quello che viene in genere indicato come un "grave impedimento cronico". La gravità dell’impedimento è naturalmente un dato difficilmente quantificabile: una persona affetta da una devastante forma di artrite deformante, che le impedisca di svolgere un’attività professionale sulla quale si concentri tutto l’interesse dell’esistenza, può ritenere il suo stato più intollerabile di quanto non lo avverta invece un individuo che svolga un’attività prevalentemente intellettuale e che si trovi immobilizzato in un letto.
3.6 I rapidi progressi delle tecniche di rianimazione e delle terapie intensive consentono di mantenere in vita anche per lunghi periodi di tempo individui che hanno subito gravi lesioni cerebrali. Essi dipendono totalmente dalle macchine per la respirazione e da sonde gastriche per la nutrizione. Molto spesso le funzioni cerebrali sono in queste persone totalmente e irreversibilmente distrutte e non esiste alcuna prospettiva di un seppur minimo recupero. Si parla allora di "stato vegetativo persistente". Le decisioni richieste ai medici curanti riguardano in questi casi la sospensione delle tecniche rianimatorie: in pratica, il paziente è "lasciato morire".
3.7 Esistono poi molte situazioni nelle quali il medico non si trova di fronte a vere e proprie malattie gravemente invalidanti o a sintomi fisici intollerabili, ma che ugualmente possono determinare in una persona il nascere e il consolidarsi della convinzione che la sua vita si sia esaurita e non vi sia alcuna ragione di prolungarla ulteriormente. Si pensi in particolare alla situazione degli anziani, i quali spesso presentano gravi e multiple limitazioni delle capacità fisiche e psichiche, accompagnate dalla sensazione di essere "di peso" ai familiari. In queste circostanze un’eventuale richiesta di eutanasia ha da essere valutata con estrema cautela, anche perché spesso nasconde sintomi di depressione, curabili sia farmacologicamente, sia con un supporto psicologico.
4 – La ricerca di orientamenti
4.1 Da un lato, la sospensione delle cure alle persone che si trovano in uno stato vegetativo persistente, è stata ritenuta eticamente accettabile in molte sentenze emesse da diverse corti di giustizia, specie nei paesi anglosassoni. Non sempre, tuttavia, la morte in questi casi segue immediatamente la sospensione delle terapie, specie quando questa riguarda l’eliminazione della nutrizione e della somministrazione di liquidi: l’ammalato può morire per il digiuno e la disidratazione, fra sofferenze facilmente immaginabili. È quindi giustificato chiedersi in quale misura sia più accettabile lasciar morire una persona, piuttosto che accelerarne la morte con un’iniezione di farmaci letali.
4.2 Le maggiori controversie riguardano naturalmente l’eutanasia (attiva) e l’assistenza al suicidio. Di solito ci troviamo di fronte a persone che la medicina ha tenuto in vita per lunghi periodi, grazie a tecnologie sempre più complesse. Queste persone hanno consapevolmente accettato i trattamenti che il medico ha loro proposto: è comprensibile che gli possano chiedere, quando egli abbia chiaramente spiegato che la medicina non è più in grado di controllare i sintomi, non solo di sospendere ogni altra inutile cura, ma di intervenire attivamente per accelerare la morte, in modo indolore e rapido. Quando siano rispettate le condizioni di libera scelta, non esiste alcun valido motivo per costringere una persona a prolungare una sofferenza che egli reputa inutile e disumana.
4.3 L’opposizione della maggior parte dei medici, sulla base del loro dovere di fare tutto il possibile per mantenere in vita il malato, a praticare l’eutanasia, andrebbe riconsiderata alla luce di un concetto di medicina che comprende anche l’imperativo di evitare inutili sofferenze. Coloro che praticano la medicina hanno il dovere di applicare nel modo più completo ed efficiente le conoscenze e le tecnologie a disposizione. Occorre tenere sempre presente che simili strumenti non sono fini a se stessi, ma sono da utilizzare nell’ottica di una cura globale del paziente inteso come totalità della persona e pertanto essi possono essere impiegati per abbreviare sofferenze non altrimenti eliminabili.
4.4 Come si è accennato in precedenza, uno degli argomenti ricorrenti contro l’eutanasia e il suicidio assistito è quello della sacralità e intangibilità della vita. È certamente vero che la vita rappresenta il valore supremo che va rispettato e salvaguardato come tale. Tuttavia è lecito chiedersi che cosa si intende esattamente e correntemente per vita. Esiste una condizione biologica, rappresentata dall’insieme delle funzioni biochimiche cellulari, dalla riproduzione cellulare, dal funzionamento dei vari organi. Queste funzioni, seppure con complessità crescente dagli organismi unicellulari fino ai primati e al genere umano, sono fondamentalmente simili in tutti gli esseri viventi. Ciò che distingue la vita umana è l’insieme delle esperienze, delle relazioni con le altre persone, delle gioie, dei dolori e delle sofferenze, delle speranze nel futuro, delle attese, degli sforzi per rendere degna e umana la vita. In altri termini, è necessario distinguere la vita biologica dalla vita biografica: quando la vita biografica cessa, come nel caso di uno stato vegetativo persistente, oppure divenga intollerabile, come nelle malattie terminali, deve essere presa in considerazione l’eventualità di porre termine alla vita biologica.
4.5 L’introduzione nella prassi medica e nella legislazione di una qualche forma di liceità dell’eutanasia e del suicidio assistito suscita il timore di uno scivolamento verso altre forme di accelerazione della morte anche in persone inconsapevoli o non consenzienti. La società potrebbe incamminarsi su un pericoloso "pendio scivoloso" (slippery slope), al termine del quale potremmo accettare di sopprimere legalmente anziani, disabili, disadattati. Poiché la bioetica nasce dopo la seconda guerra mondiale e dopo gli orrori del nazismo, il vivo ricordo delle esperienze della Germania hitleriana esercita senza dubbio una forte influenza nel generare e rendere vivi e presenti questi timori: il periodo nazista viene considerato come la prova dello scivolamento dall’eutanasia volontaria a quella involontaria e alla progressiva erosione di ogni regola etica. In realtà la politica dei nazisti nei confronti dei deboli, dei malati e in genere degli individui ritenuti non adatti alla nuova società ariana fu iniziata e attuata violando il codice penale tedesco e suscitò la reazione, peraltro inutile, del ministero della Giustizia. Questa politica non ha nulla a che vedere con l’idea e la pratica dell’eutanasia com’è oggi intesa. Non si hanno notizie di casi di eutanasia volontaria richiesta da malati di cancro o da persone affette da malattie croniche nella Germania di Hitler. Pertanto, utilizzare questo argomento per opporsi all’eutanasia sembra perlomeno poco fondato storicamente e scorretto sul piano dialettico, poiché tende ad accostare due fenomeni radicalmente diversi.
4.6 La posizione dell’opinione pubblica al riguardo ha subito negli ultimi anni significativi mutamenti. Nell’Oregon (Usa) nacque nel 1987 la Hemlock Society, un’organizzazione non-profit, che sponsorizzò nel 1991 la presentazione di una proposta di legge in favore del suicidio assistito al Senato di quello stato. La proposta non fu mai discussa, ma nel 1994 i cittadini dell’Oregon approvarono, con una maggioranza del 52% di voti favorevoli, la legge oggi nota come "Death with Dignity Act", che consente ai medici di prescrivere i farmaci necessari al suicidio a favore di un paziente, purché egli sia cittadino dell’Oregon, abbia una previsione di vita non superiore a sei mesi e vi sia il parere favorevole di altri due medici. In un referendum svoltosi nel novembre 1997 i cittadini dell’Oregon, questa volta con una maggioranza del 60% a favore, hanno respinto una proposta d’abrogazione della legge. Molti medici si sono espressi contro tale legge. Una posizione nettamente contraria è stata presa dall’American Medical Association. Non è ancora chiaro come e in che misura essa sarà applicata, anche perché la Drug Enforcement Agency (Agenzia di controllo sui farmaci) ha minacciato di sospensione della licenza i medici che prescriveranno farmaci per aiutare un paziente a commettere suicidio. È in ogni modo interessante rilevare che sulla stampa specializzata degli Usa sono state numerose le prese di posizione sostanzialmente favorevoli alla legge e critiche nei confronti dei medici, accusati di scegliere di prolungare le sofferenze degli ammalati piuttosto che farsi coinvolgere in una scelta indubbiamente difficile.
4.7 Al Parlamento europeo l’on. Léon Schwartzenberg ha presentato, come relatore, un Documento di lavoro nel luglio 1990 e un Progetto di relazione nel febbraio 1991, sull’assistenza ai malati terminali, nei quali l’eutanasia attiva e il suicidio assistito sono visti come possibilità accettabili e rispettose della dignità e dell’autonomia dei pazienti. I due documenti non risultano essere stati ulteriormente discussi.
4.8 Con riferimento all’esperienza dei Paesi Bassi, occorre anzitutto ricordare che per il codice penale olandese l’eutanasia è considerata un crimine, ma è trattata in una sezione separata del codice. La legislazione attuale trae origine da una serie di avvenimenti e processi iniziati nel 1973, anno di fondazione della Società olandese per l’eutanasia volontaria. Nel 1985 la Commissione di stato sull’eutanasia propose di emendare il codice penale in modo tale che la morte provocata a una persona su esplicita e ripetuta richiesta di questa non fosse considerata un crimine a condizione di essere data nel contesto di buona pratica medica e che la condizione del malato fosse senza possibilità di miglioramento. Questa proposta non fu mai accolta come tale e il codice penale non fu mai modificato. Bisogna ricordare che l’Associazione medica olandese ha ripetutamente espresso parere favorevole all’eutanasia e queste prese di posizione hanno influenzato non poco le decisioni del Parlamento.
4.9 Nel 1991 la Commissione Remmelink riportò al Parlamento che i casi d’eutanasia andavano stimati fra 2.000 e 8.000 l’anno e segnalò circa 400 casi di suicidio assistito. Le richieste di eutanasia erano circa tre volte più numerose di quelle praticate: in due terzi dei casi quindi era stata trovata dal paziente e dal medico una scelta alternativa all’eutanasia, oppure il malato era deceduto prima della sua messa in atto. In circa 1.000 casi i medici segnalavano di aver praticato l’eutanasia senza esplicita richiesta del paziente. Fino al 1990 i casi di eutanasia segnalati dai medici olandesi erano relativamente pochi: nel 1990 ne furono segnalati 454, nel 1994, 1.424. Contemporaneamente sono nettamente diminuiti i casi sottoposti a procedimento penale: da due su dieci segnalati nel 1983 a quattro su 1.322 nel 1992.
4.10 Questi mutamenti rilevanti sono senza dubbio conseguenti alla nuova normativa in vigore in Olanda, attuata dal governo olandese a partire dal 1990 e trasformata in legge il 1º giugno 1994. Secondo questa normativa, il medico che opera l’eutanasia deve rispettare precise condizioni: vi deve essere una ripetuta, confermata, volontaria richiesta da parte del malato; lo stato del paziente deve essere così grave da rendere intollerabile la sofferenza e non vi deve essere più alcuna possibilità di intervento medico; prima di praticare l’eutanasia il medico deve consultarsi con un collega esperto, che non abbia prima avuto in cura il paziente. Dopo la morte del paziente, il medico segnala il caso all’autorità giudiziaria: solo il procuratore del distretto può decidere se sono stati rispettati i criteri previsti e di conseguenza autorizzare la sepoltura senza intraprendere un procedimentopenale nei confronti del medico.
4.11 L’evoluzione delle norme sull’eutanasia in Olanda costituisce un esempio di come un contesto culturale particolarmente attento agli interessi di tutte le componenti sociali (la gran maggioranza dei cittadini dei Paesi Bassi da tempo si è dichiarata favorevole alla depenalizzazione dell’eutanasia) e una posizione aperta e non dogmatica della professione medica possono consentire di raggiungere su questioni drammatiche delle soluzioni accettabili. È pur vero che sono segnalati circa 1.000 casi l’anno di eutanasia su pazienti che non avevano espressamente indicato la loro volontà in tal senso; essi devono certamente preoccupare e far riflettere, ma il fatto che si conoscano i termini del problema consente di intervenire per ridurli e se possibile eliminarli. Essi non stanno comunque ad indicare che l’Olanda si sia incamminata su un pendio scivoloso: possiamo, infatti, supporre che casi del genere si verificassero ben prima che la nuova normativa fosse accettata e che una pratica simile esista anche nei paesi nei quali l’eutanasia non è accettata.
4.12 L’eutanasia e il suicidio assistito, praticati in un contesto di precise regole e di controlli validi, ma non vessatori, nei confronti tanto del paziente quanto del medico, costituiscono un’espressione di libertà dell’individuo nel momento in cui egli giudica che la medicina non sia più in grado di migliorare il suo stato e che l’esistenza, ulteriormente prolungata, sarebbe intollerabile. È opportuno sottolineare come, in definitiva, solo l’essere umano pienamente cosciente sia in grado di decidere se la propria vita sia ancora degna di essere vissuta; donne e uomini sono responsabili delle loro vite e delle loro scelte e nessuno, medico, istituzione religiosa o società, può in ultima analisi imporre l’obbedienza a valori non condivisi.
4.13 Tenendo conto di tutto quanto detto in precedenza, una ponderata depenalizzazione dell’eutanasia e del suicidio assistito non implicano necessariamente rischi incontrollabili per la società; conseguentemente dovremmo evitare di esprimere la nostra opinione in conformità a principi astratti e valori nei quali non tutti i cittadini di un paese sono tenuti a riconoscersi.
4.14 L’espressione di libertà implicita nella richiesta di eutanasia presuppone una completa e adeguata informazione e discussione fra medico e paziente sullo stato della malattia e sulle prospettive di vita e di morte, sempre che il paziente desideri essere informato fino in fondo sulle proprie condizioni. Non è immaginabile parlare di eutanasia quando, come avviene spesso in un contesto culturale quale quello italiano, si dicono al malato pietose bugie o gli si concedono mezze verità, ergendogli intorno una barriera che vorrebbe essere di protezione e che invece non fa altro che sottrarre al paziente dignità e libertà (quando non ha lo scopo principale di evitare ai familiari e al medico l’imbarazzante compito di affrontare con il malato argomenti sui quali essi non sono assolutamente preparati a discutere).
4.15 Certamente l’esperienza degli altri paesi e in particolare dell’Olanda, che ha depenalizzato l’eutanasia, deve essere studiata e trasferita in altre realtà sociali con estrema cautela. Riteniamo tuttavia che anche per l’Italia sia giunto il momento di affrontare la questione e di iniziare un cammino anche legislativo che stimoli la discussione tanto nell’opinione pubblica quanto nell’ambito dei medici, delle professioni sanitarie e delle chiese.
5 – Considerazioni etiche e pastorali
5.1 Da un punto di vista pastorale la distinzione tra eutanasia attiva e astensione terapeutica è importante e merita di essere sottolineata. L’astensione terapeutica infatti rispetta, pur non completamente, il tempo di attesa della morte, con una sua propria ritualità che l’accompagnamento pastorale conosce dalla tradizione. L’eutanasia attiva invece non rispetta questo tempo di attesa, ma lo anticipa. E questo anticipare implica un’azione diretta, immediata, da parte dell’intervento medico, che deve essere assunta in tutte le sue implicazioni.
5.2 Se l’etica medica può motivare e giustificare la sua azione sulla base di valutazioni antropologiche generali, è possibile motivare e giustificare questa stessa azione da un punto di vista pastorale? Quali argomenti possono essere addotti, in un’ottica etico-pastorale, per confutare o accettare la domanda del malato grave e la disponibilità del medico al suicidio assistito?
5.3 A queste domande non è facile dare risposte esaurienti. Probabilmente non esistono risposte esaurienti, né per chi intende motivare la scelta per l’eutanasia attiva, né per chi intende confutarla. Il conflitto tra principi e norme è sempre largamente soggettivo. Ciò che può permettere di dire di sì alla richiesta di un malato grave di interrompere la sua vita può nascere soltanto da una profonda relazione con il suo stato di sofferenza e di dolore. L’accoglienza di una domanda di suicidio assistito può essere assunta da un accompagnamento pastorale che tiene aperta la dimensione di conflittualità che tale decisione implica, per il malato inguaribile, per il medico, per la figura pastorale, per i familiari. Una conflittualità che tuttavia non può sottrarsi all’insistenza della domanda e alla percezione del dolore e della sofferenza che esigono una risposta nel qui e ora. Non si tratta di cercare giustificazioni o legittimazioni all’azione che si compie per difendere il "diritto alla vita" di chi vuole poter morire. Si tratta piuttosto di prendere atto che non vi sono giustificazioni etiche e pastorali dirimenti per opporre un rifiuto di principio. Ciò a cui non si può sfuggire è la domanda che l’altro mi rivolge con insistenza e che io percepisco in tutta la sua gravità.
5.4 Fino ad oggi, in ambito cristiano, a parte alcune eccezioni, è prevalso un giudizio negativo nei confronti dell’eutanasia attiva. Esso si fonda sulla Bibbia e soprattutto sulla morale cristiana, e si riassume nell’affermazione che Dio solo è colui che dà la vita e la può togliere, da cui l’affermazione dell’intangibilità o della "sacralità" della vita. Intervenire in questa relazione di vita e di morte vorrebbe dire"prendere il posto di Dio". Ma significa veramente sostituirsi a Dio accogliere la domanda di un malato grave che intende porre termine alla sua vita? Si sottrae a Dio una parte della sua signoria sul mondo e sulla vita accogliendo la richiesta di un malato grave di poter morire? O si mette in questione il potere acquisito dalla medicina moderna di mantenere in vita un corpo che produce dolore senza più poter accedere a un senso della vita? E ancora, dietro a questa onnipotenza della medicina non si nasconde una difficoltà ad affrontare la propria morte?
5.5 L’etica cristiana e la pastorale devono fornire delle risposte credibili di fronte alla sofferenza e al dolore, devono assumerli fino in fondo, senza divagare, senza proiettarli irresponsabilmente in una dimensione di autoredenzione. La sofferenza e il dolore non producono salvezza, sono dimensioni dell’esistenza umana da accettare, ma anche da combattere, in sé non hanno nulla di positivo. Ma ciò non va confuso con il fatto che molte persone si aprono alla fede nel tempo della malattia e della sofferenza e che sia precisamente questo tempo a gettare nuova luce sull’esistenza. Un tempo di malattia e di sofferenza che provoca nuovi interrogativi sulla vita e sulla morte, stimolo di nuova spiritualità, ricerca di fede che può assumere una dimensione terapeutica. La domanda di eutanasia attiva nasce anche su questo terreno, sul terreno di una fede viva e consapevole. E dal momento che la fede personale non è mai disgiunta da una relazione di comunità, il singolo ha bisogno del supporto relazionale delle persone che lo circondano e di quello della comunità cristiana di appartenenza.
5.6 Nell’ambito della pastorale si parla molto del rispetto della spiritualità del malato. Ma questo rispetto sembra arrestarsi improvvisamente di fronte alla richiesta del malato inguaribile che chiede di poter morire. Quasi che questa domanda nascesse da un mondo che non gli appartiene. Che cosa impedisce di leggere anche questa domanda come segno di una spiritualità viva e cosciente, radicata nel Dio della vita e nelle sue promesse? Con quale autorità spirituale posso io contrastare la libertà e responsabilità di un alt ro di decidere il tempo della sua morte quando il vivere è un’umiliazione quotidiana senza speranza? Qual è la fonte dell’autorità che mi impone di costringere una persona inguaribile a continuare a vivere una vita di morte? Chi sono io per sottrarre al malato inguaribile questo diritto di poter morire? Da quale parte sta il Dio della vita e della promessa? Dalla parte del non-senso del dolore acuto di un malato inguaribile o dalla parte del suo umano desiderio di morire? Per quanto paradossale possa essere, in una tale situazione accogliere la domanda di morte significa accogliere la domanda della vita, accogliere il diritto di morire coscientemente la propria morte. Il medico che accoglie questa domanda del malato inguaribile l’accoglie all’interno di un lungo processo di cura e di relazioni. Il medico che si rende disponibile al suicidio assistito o all’eutanasia non commette un crimine, non viola alcuna legge divina, compie un gesto umano, di profondo rispetto, a difesa di quella vita che ha un nome e una storia di relazioni.
Roma, 7 febbraio 1998
Il Gruppo di lavoro sui problemi etici posti dalla scienza

Personaggi
Il Curato d'Ars italiano
Don Guido Gariazzo è nato a Vigliano Biellese il 28 maggio 1925 da Angelo e Paolina Peveraro. I genitori erano originari di Sandigliano e visse a Benna fino al giorno della sua ordinazione sacerdotale, avvenuta il 7 giugno 1952. Tra il ’52 e il ’58 fu vice-parroco di Sordevolo (l’ultimo anno anche parroco di Bagneri). Fu nominato parroco di Borriana il 4 luglio 1958 e si insediò il 28 settembre successivo con la benedizione del Canonico santo, Mons. Giuseppe Botta.
Nei primi anni di ministero sacerdotale in Borriana curò l’oratorio e si prodigò in opere sociali, quali la creazione di un circolo ricreativo e il bocciodromo parrocchiale. Per quanto riguarda le attività catechetiche le seguì lui stesso, in prima linea per anni (soltanto negli ultimi tempi, a causa di problemi di salute, cedette alcune attività in mano a laici). Nel 1993, con un gruppo di uomini e donne preparati, decise di istituire il Primo Venerdì del mese in parrocchia con momenti di adorazione del Santissimo Sacramento. Tali opere o iniziative devozionali rimasero un segno tangibile per diversi anni, ancora oggi! Come testimonianze delle sue iniziative del “sociale” rimangono il Circolo La Bessa, il bocciodromo e l’ampliamento dell’oratorio, voluto e pensato già a suo tempo da lui stesso e poi continuato dai successori. Comunque il compianto Sacerdote ha compiuto molti sforzi a riguardo e ha lasciato i prodromi perché chi gli sarebbe succeduto avesse potuto continuare la sua opera.
Nel 1988 venne festeggiato il trentennale di ordinazione sacerdotale, vennero raccolti fondi e restaurato l’organo; celebrò poi la Santa Messa solenne il compaesano don Ezio Zanotti (allora parroco di Miagliano). In occasione della festa venne ricevuto in comune dall’allora sindaco Dott. Orlando Rossetti che si rivolse così al sacerdote: “Resti con noi – sig. Parroco – fin che il Signore Glielo concede – perché soltanto pensando di averla accanto, ci sentiamo più buoni. Resti perché, come sempre, abbiamo tanto bisogno delle Sue cure. E quando non ce la farà più, sappia che sarà sempre tanto il bene che ci ha fatto, in proporzione ai pochi grazie che le abbiamo detto”.
Il sacerdote aveva una semplicità benevola, con la quale voleva bene a tutti, tanto è vero che riusciva ad amare le persone in maniera singolare.
Si mise a disposizione del Dott. Rossetti, il sindaco di allora e forniva il suo aiuto morale anche alle disavventure dovute alle fatiche della vita amministrativa.
Don Guido non aveva certamente le doti del grande teologo ma la somiglianza era piuttosto con il Curato d'Ars (San Giovanni Maria Vianney) il quale fu mandato in una parrocchia di un villaggio a maggioranza anticlericale per le scarse capacità nello studio ma, le grandi qualità umane, gli permisero di fare la differenza e convertire un maggior numero di credenti.
Egli non si era distinto con pubblicazioni di libri o per aver compiuto grandi opere o miracoli ma svolse il suo ministero come un prete normale che, come il noto Santo Ignazio di Santhià (Padre Cappuccino canonizzato nel 2003 da Papa Giovanni Paolo II), viveva la santità dell'Ordinario, nelle cose più semplici. Visse la sua vocazione nella discrezione e nella fedeltà.
Nella vita su sempre dispobile verso i poveri o le persone in dificoltà. Era un sempliciotto sempre ottimista, contento di essere parroco e dei suoi parrocchiani.
Per 37 anni servì la parrocchia di Borriana con affetto e dedizione e soprattutto senza mai scoraggiarsi.

Le leggi dell'anti-sismica
Sono necessari studi sulle leggi della meccanica
Le tragedie provocate dai sismi
I sismi spesso affliggono la nostra penisola, ragion per cui sono necessari studi sulle leggi della meccanica e nella fattispecie le leggi dell'anti-sismica per evitare tragedie di 294 morti! La scienza in italia cammina, a rilento, con poche possibilità economiche ma cammina, cammina inesorabile verso il progredire e il migliorare delle condizioni umane ma c'è da riflettere, c'è da capire e ragionare se ha senso la fame nel mondo, se ha senso che crollino costruzioni recenti causando decessi giovanili, se ha un senso tutto questo! Ciò deve essere evitato e solo il rischio della fede può aiutare a fare la differenza ma la scienza deve fare la sua parte.
Ultimamente abbiamo visto chi al centro delle polemiche per la scoperta del radon a riguaro, quindi agli "scienziati" non accreditati, talvolta migliori di quelli accreditati è interdetto (per ragioni anche plausibili) l'utilizzo o il fregio del titolo di "ricercatore". Personalmente sono ricercatore volontario presso un'Università Popolare e amo questo lavoro anche se ne ho già un altro per vivere...
Dopo la scossa di terremonto che è avventa in centro italia, vorrei ricordare come anche nella mia zona ci siano stati anche forti terremoti soprattutto nel periodo dell'alto medioevo. ABito nel piemonte nord orientale e i terremoti da noi, a memoria d'uomo, sarebbero stati sempre di lieve entità, tranne uno che colpì la pianura padana, tra cui anche il piemonte e anche le provincie di Vercelli, Biella, ALessandria e via dicendo. Su alcuni documenti storici si parla del 1117, altri nel 1127; il sisma colpì la pianura padane, le provincie di Verona, Milano, Brescia e non si esclude un estenzione della zona tettonica. Lo storico Giuseppe Ferraris parlò di questi eventi, ovviamente non nei termini che scrivo..
Il sisma che colpì la zona in cui risiedo anch'io in Piemonte  ebbe danni soprattutto riscontrabili sugli edifici sacri, quindi da lì, eventualmente si può desumere del passaggio del sisma.. ovvio che questi danni potrebbero anche essere riferiti ad abitazioni e anche a morti di persone.
Continua...